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Ricerca sulla Shoah. Due documentari firmati dai ragazzi

Gli studenti del D’Arco-D’Este intervistano i superstiti: «Ricordo il treno, portò via i miei cari stipati come bestie»

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MANTOVA. La Shoah a Mantova raccontata da chi l’ha vissuta. Luciana Parigi, Leonello Levi, Silvana Vivanti, Lidia Gallico, Vittorio Jarè. Hanno tutti, tranne Vittorio, classe 1938, superato le 80 primavere e sulla loro pelle hanno provato le atrocità delle leggi razziali. Loro sanno cosa significa essere perseguitati, scappare, rifugiarsi e ancora scappare perché loro e le loro famiglie sono state perseguitate e per cercare di sopravvivere hanno dovuto nascondersi, cambiare continuamente casa per non essere presi e deportati nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, come è successo ad alcuni loro cari. Erano chiamati i “bambini nascosti” o “bambini in fuga”. Ora quei bambini hanno nel loro cuore una memoria storica che nessun libro di testo, per quanto preciso possa essere, può trasferire alle nuove generazioni. Ed è proprio quella memoria che hanno voluto trasmettere ai giovani, abbattendo, in alcuni casi, un muro di silenzio eretto per anni, perché «è giusto farlo» ci confida la signora Parigi nei cui occhi si può leggere un passato che non è mai veramente passato. «Mi hanno ucciso cinque persone» racconta.

Luciana, dei cinque intervistati, è stata l’unica ad aver visto il treno che dalla stazione di Mantova partiva per portare gli ebrei nei campi di sterminio. Sul quel treno «stipati come in un carro bestiame» c’erano i nonni, gli zii e la sorella del nonno. «Tenevano tutti la testa fuori da quei piccoli finestrini». Ora Luciana abita vicino a un passaggio a livello e «tutte le volte che passa un treno li rivedo partire».

È scappata alla cattura anche Silvana Vivanti. «È giusto che i ragazzi sappiano che questi avvenimenti sono accaduti davvero. Ho perso i miei zii e cugini ad Auschwitz. Hanno preso anche la piccola Olimpia, aveva solo tre anni. Li vidi l’ultima volta qualche giorno prima della cattura. Mia madre e io cercammo di sfuggire ai rastrellamenti spostandoci da un piccolo paese all’altro, dal Lazio alla Romagna. Proprio in Romagna, a Tresigallo, abbiamo partecipato alla messa cristiana: il parroco si era insospettito non vedendoci mai tra i banchi della chiesa».

Queste testimonianze, e molte altre, sono raccolte in un lungometraggio e in un corto grazie al laboratorio storico realizzato da 80 studenti degli istituti D’Este e D’Arco, guidato dal professore Andrea Ranzato. «I ragazzi – spiega – non devono vivere il giorno della memoria come momento retorico e astratto. Il percorso nasce rovistando tra gli archivi del nostro istituto dove, per le leggi razziali, furono espulsi tre studenti e una docente. Da qui siamo partiti per avviare un’indagine che ricoprisse l’intera città. La nostra ricerca si basa soprattutto su fonti orali. Tutte le interviste, la maggior parte svolte nella sinagoga con la collaborazione della comunità ebraica, sono state montate in due filmati». Il primo ha una durata di un’ora e mezzo, il secondo, più sintetico, di 30 minuti. Nei filmati anche immagini storiche e spezzoni di film. Il tutto, caricato su chiavette, è stato consegnato all’Istituto di storia contemporanea, all’Archivio di stato, alla Comunità ebraica e all’Istituto Franchetti.

Barbara Rodella
 

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