«Amavo mio marito ma con lui trent’anni di abusi e paura»
Il riscatto di una vittima di violenza psicologica e fisica. «Ero terrorizzata, dormivo con il coltello sotto il cuscino»

MANTOVA. Il suo era un amore appassionato e senza confini, fatto di stima, ammirazione e tenerezza. Un sentimento mal ricambiato da quello che è diventato il marito e il padre delle sue due figlie: al posto dell’affetto, una brama di possesso; al posto della stima, un disprezzo calcolato; in vece della tenerezza, il peso della sopraffazione. Un vortice di abusi e violenze, soprattutto psicologici, che ha ingoiato la vita di Mara, un’impiegata di 49 anni che abita in città, costretta dal marito a una perenne sudditanza. «Sono stati trent’anni d’inferno, ho resistito solo per amore delle mie figlie» dice lei. Trent’anni conclusi l’anno scorso quando il marito, colpito da ictus, s’è addomentato per sempre sul divano di casa. «È tutto finito ma mi sono rimaste la paura e l’amarezza di aver provato tanto odio, sentimento che prima non conoscevo – spiega Mara – per superare la paura mi è stato molto utile partecipare a un corso di autodifesa e anti-aggressione».
Mara ha conosciuto il marito quando aveva solo diciassette anni. Lui ne aveva già trentadue e un matrimonio con figli alle spalle. «Ero una ragazzina e mi faceva sentire la persona più importante del mondo – è il suo racconto – ma in breve ha costruito tra noi un rapporto esclusivo e mi ha fatto terra bruciata attorno: a poco a poco, senza che me ne accorgessi, ho tagliato i ponti con i miei parenti e amici. Con loro era aggressivo e mi metteva in imbarazzo, così preferivo evitare di vederli. Era solo un anticipo. Per lui era normale screditarmi in pubblico, mettermi alla berlina per come mi vestivo o per quello che dicevo. Se poi glielo facevo notare mi rispondeva “ma io stavo solo scherzando”. Così mi sentivo anche in errore, credevo di essere io a sbagliare».
In seguito, per anni, il copione del marito – in pubblico impeccabile professionista e uomo arguto, in casa marito votato al sopruso e a una brama compulsiva di possesso – è stato quello di proibire, negare e controllare la moglie. «Con le sue scenate di gelosia mi ha fatto perdere tre lavori: quando facevo la barista, ad esempio, si piazzava al bar e sfotteva i clienti a cui sorridevo – continua il racconto – mi stava sempre col fiato sul collo: durante la giornata dovevo chiamarlo a orari fissi, sempre da casa, così sapeva dov’ero. Quello che guadagnavo con il mio lavoro dovevo lasciarglielo, i soldi li gestiva lui. Non potevo dirgli di no, si imbronciava e diventava violento. Una volta mi ha anche sferrato un pugno... poi ho saputo che alla moglie precedente era toccata la stessa sorte, le aveva rotto la mandibola. Quando mi sono ammalata e facevo la chemio, non è mai venuto in ospedale. Poi ho scoperto che mi tradiva con una ventenne, che frequentava una escort a Parma e dei bordelli in Austria. E quando ho chiesto la separazione, ha dato di matto. Al punto da minacciare di uccidermi. Ero terrorizzata, dormivo accanto a lui con il coltello sotto il cuscino. È lì che mi sono iscritta al corso anti-violenza: sapevo che, se avessero ceduto gli argini della violenza fisica, avrei potuto difendermi. Sono anche riuscita a trascinarlo dalla psicoterapeuta. È stata lei a farmi capire che ero davvero in pericolo e mi ha consigliato di fare subito le valigie. Lui è morto poche settimane dopo. È triste, ma mi sono sentita liberata dal burka trasparente che sono stata costretta a indossare per trent’anni».
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