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Festivaletteratura, la vergogna delle vittime di terrorismo

Il basco Aramburu: «Ho parlato con famiglie colpite, è un dolore che porta all’isolamento»

Luca Cremonesi
1 minuto di lettura

MANTOVA. Il mito della Spagna e il terrorismo basco sono lo sfondo della presentazione del ponderoso romanzo dello scrittore spagnolo Fernando Aramburu che, in un incontro veloce per i molti impegni lo chiamano a presentare il libro, si svolge in una torrida chiesa di Santa Paola. «La Spagna è un mito per un’intera generazione di persone che hanno visto nella vicenda della Guerra Civile, di Franco e degli anarchici un mito da seguire e inseguire» esordisce Wlodek Goldkorn che ha il compito di moderare l’incontro del pragmatico scrittore spagnolo.

«Il mio non è un romanzo storico - precisa Aramburu -, si tratta di un libro che parla di gente basca, persone, uomini e donne che abbracciano un arco temporale di 30 anni, dagli anni ’80 del secolo scorso agli anni ’10 del 2000. Il libro parla del loro destino e del percorso di persone concrete. Queste due famiglie, questi nove personaggi che compongono il libro, concretizzano e declinano storie vere di persone reali che hanno vissuto in quegli anni».

Fra le interpretazioni del romanzo c’è quella relativa alla vergogna. «La vergogna delle vittime è qualcosa che non so spiegare. Tuttavia ho parlato con famigliari di vittime del terrorismo. Chi uccide con un atto terroristico è convinto del bene della sua azione. Tutti si convincono che se quella persona è stata uccisa allora qualcosa aveva fatto. Il mio personaggio si pone dal punto di vista della vittima. Il dolore, ma soprattutto la vergogna che porta all’isolamento e alla solitudine sono sentimenti che ho trovato forti nelle persone che ho incontrato».

Anche sul fronte del fanatismo Aramburu non vuole fornire spiegazioni e neppure aggiungere e avallare interpretazioni. «Sono cresciuto in una famiglia cattolica e ho a cuore il dolore degli altri. Credo che ognuno di noi nasca come un libro bianco nel quale gli adulti iniziano a scrivere e inscrivere valori, storie e comportamenti. Ognuno prende la sua strada alla luce di questo materiale, ma di una cosa sono convinto. Nessuna società nasce davvero libera, civile e pacifica se si basa su distruzione e atti violenti. L’azione distruttiva non porta a società civili. Il mio personaggio è un fanatico e come tale vive, solo in carcere si ferma a pensare».

Aramburu saluta il pubblico ricordando che «scrivo pensando al mio lettore ma non perché voglio dargli spiegazioni. Credo che ognuno debba essere libero davanti al romanzo e il libro deve vivere prima di tutto nella mente di chi legge».


 

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