Il giudice condanna l’Inps di Mantova: discrimina sul bonus bebè
Prestazione negata a due famiglie di immigrati regolari, Articolo 3 vince i ricorsi. Ed ora con sindacati, patronati e un pool di avvocati presenta altre venti cause
di Monica Viviani
MANTOVA. «Carattere discriminatorio della condotta tenuta dall’Inps»: recitano così due sentenze emesse tra maggio e giugno dal Tribunale di Mantova che ha condannato l’ente di previdenza per aver negato il bonus bebè ad altrettante famiglie straniere regolarmente soggiornanti in Italia. A darne notizia il tavolo creato un anno fa da Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni insieme ai sindacati Cgil e Uil, ai patronati Inca e Ital e all’associazione studi giuridici sull’immigrazione Asgi, che si appresta a presentare nelle prossime settimane altri 20 ricorsi per la mancata erogazione di 14 assegni di natalità, 4 premi alla nascita e due assegni di maternità a donne straniere residenti tra città e provincia.
«La questione dell’accesso delle persone straniere alle prestazioni sociali - spiega Carlo Berini di Articolo 3 - è un tema discusso perché molti ancora pensano a queste persone come ospiti e non come concittadini che partecipano alla comunità dei diritti». È da un monitoraggio di Articolo 3 che è emerso «che l’Inps di Mantova, a parità di requisiti di reddito, non erogava le prestazioni sociali previste dalla legge a tutte le donne e alle famiglie straniere regolarmente soggiornanti in Italia. Le prestazioni erano riconosciute discriminando sul titolo di soggiorno». In sostanza, come spiega l’avvocato Alberto Guariso responsabile del servizio antidiscriminazione di Asgi, a Mantova (ma non solo) non viene applicata la Direttiva Ue 98 del 2011 che ha esteso il diritto a prestazioni sociali come assegni di maternità e natalità o premio alla nascita anche a cittadini stranieri con permesso di soggiorno che permette di lavorare. Il motivo? Lo Stato italiano non ha recepito la direttiva e prevede l’erogazione di queste prestazioni solo a chi è in possesso di permesso di lungo periodo. «In questo modo - spiega l’avvocato - vengono tagliati fuori i più bisognosi».
Di qui i ricorsi che stanno fioccando sui tavoli dei giudici del lavoro italiani attraverso la collaborazione dei patronati: «I nostri operatori - spiegano Donata Negrini di Cgil, Alessio Aliatis di Inca e il segretario Uil Paolo Soncini - supportano le donne nella presentazione delle domande e quando queste vengono respinte ci rivolgiamo ad Articolo 3 per i ricorsi. E continueremo a farlo».
Ricorsi come quelli appena vinti dall’avvocato Cristina Tarchini: «In un caso l’Inps ha riconosciuto di aver sbagliato - racconta - mentre per una mamma brasiliana e un papà senegalese a cui era stato rifiutato nel 2016 il bonus bebè perché “non in possesso di utile titolo di soggiorni”, ovvero di permesso di lungo periodo, il giudice ha condannato l’Inps a pagare quanto dovuto, alle spese di giudizio e ha definito il comportamento dell’ente oggettivamente discriminante». Sono già diversi i tribunali, a partire dalla Corte d’appello di Brescia, che hanno sentenziato che la direttiva Ue è “autoesecutiva” anche se non è stata recepita dal nostro ordinamento e si pone quindi al di sopra della legislazione nazionale.
«Comunque - aggiunge Guariso - Si tratta di un conflitto che non può ricadere sui cittadini costretti a fare ricorso per avere ragione. Insomma Inps e Comuni devono iniziare a rispettare il diritto comunitario».
Il 13 ottobre alle 18.30 nella sede di Articolo 3 in via Facciotto a Mantova si terrà un incontro informativo per associazioni e immigrati. E intanto Asgi non esclude anche di promuovere contro l’Italia una procedura di infrazione.
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