In fuga dall’inferno libico: ora Celio e Jean sono sarti
Arrivati su un barcone, i due congolesi aprono un negozio in via Indipendenza. Tante idee e molta ambizione: «Vogliamo diventare come Lubiam e Corneliani»
Igor Cipollina
MANTOVA. Tanto colore a scacciare il nero che la vita prima gli ha depositato dentro. Prima di sbarcare a Lampedusa a bordo di un peschereccio carico di mille anime, partito dalla costa libica e rimasto a mollo per quattro giorni, senza una bussola a indicare una traiettoria certa. Quattro giorni a girare in tondo sotto il disco del sole di maggio, niente acqua né cibo, soli con i propri fantasmi e la paura di annegare. E in cinque sono annegati davvero, giù nello spicchio di mare che bagna Lampedusa, dove il barcone ha finito la sua corsa contro gli scogli. Celio e Jean De Bonasse non hanno molta voglia di parlare di ciò che si sono lasciati alle spalle, non nel loro sabato perfetto: il giorno dell’inaugurazione della sartoria C&B, a Mantova in via Indipendenza 10. Il colore è quello delle stoffe e delle giacche create dalle loro mani, fantasie eccessive, sgargianti, bellissime. Macchie e motivi floreali. È il giorno dell’autonomia piena, dopo mesi e mesi a girare in tondo in una stanza d’albergo, come il loro peschereccio tra le onde, con troppo tempo per pensare, e dopo l’accompagnamento intelligente di Mantova Solidale, che li ha seguiti in questo percorso d’indipendenza, dando loro un tetto e un orizzonte (leggi articolo a fianco). Perché è troppo facile concedere un permesso per motivi umanitari e poi disinteressarsi del seguito della storia.
«Oggi è un giorno di gioia – scandisce Celio, 50 anni, in un italiano dolce, venato di francese – quando sono arrivato in Italia ho pensato che volevo rimanerci per sempre». Hanno bisogno di calma e stabilità, Celio e Jean, scappati prima dal Congo e poi dalla Libia. «In Congo c’è una guerra che non finisce mai, una guerra che ha ucciso nove milioni di persone, sono tutti morti – racconta Jean, 44 anni, puntando lo sguardo al pavimento – La mia famiglia? Mi è rimasta soltanto una sorella, sto bene qui, ma un giorno voglio tornare. Come si dice in francese, sento tanta “nostalgie”». Laureato in pedagogia, a Tripoli Jean ha trovato un lavoro da tappezziere, sotto padrone, mentre Celio aveva un suo atelier a Sabha, Libia centro-meridionale, guadagnavano entrambi bene anche se tra arabi e africani non è mai corso buon sangue, e quando Gheddafi ha cominciato a vacillare si è sparsa la voce incendiaria che i neri fossero suoi mercenari. E allora, dagli al nero.
«Siamo arrivati a Lampedusa alle 4 del mattino dell’8 maggio 2011, la sera del giorno dopo ci hanno portato in nave a Genova e da lì a Pieve Emanuele, vicino a Milano, dove a giugno sono venuti a prenderci da Mantova» mette in fila i ricordi Jean. Poche frasi, una cronaca asciutta, per raccontare di un viaggio tormentato, con il mare ancora addosso, negli occhi e nelle orecchie, tanti cattivi pensieri a ronzare nella testa. Il permesso di soggiorno è arrivato abbastanza velocemente, ma oltre la scadenza del 31 dicembre 2012 ci sarebbe stata soltanto la strada, basta soldi e ospitalità all’albergo Abc. Fortuna che sul loro cammino Celio, Jean e gli altri hanno incontrato i volontari di Mantova Solidale.
Così, dopo la sistemazione in un appartamento, il corso da una sarta di Castellucchio per perfezionarsi nelle finiture, l’esperienza nello spazio sociale Punto Amico di Gianni Pirondini, il laboratorio negli stessi locali di via Indipendenza 10 (affittati da Mantova Solidale), sono finalmente arrivate la partita Iva e l’attività in proprio. «Come ho imparato a tagliare e cucire? È un dono – risponde Celio – prima facevo il parrucchiere poi, quando in casa è arrivata la macchina da cucire, mi sono seduto e ho imparato da solo. Scucivo le giacche e i vestiti per vedere com’erano fatti». Uomo, donna, bambino, riparazioni e creazioni di modelli su misura, con stoffe scelte in negozio o portate dal cliente: Celio e Jean hanno grandi progetti. «Siamo come quei giocatori che tirano calci al pallone e sognano di essere Messi o Ronaldo, ecco noi vogliamo diventare come Lubiam e Corneliani». Quando si dice ambizione.
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