Processo Montedison, la Cassazione: tutto da rifare, condanne cancellate
Respinta la richiesta di inasprimento delle pene, il procedimento dovrà essere rifatto. Annullate per prescrizione alcune condanne e risarcimenti da rideterminare

MANTOVA. Annullate le condanne per omicidio colposo agli ex manager della Montedison. Con una sentenza che farà molto discutere la Corte di Cassazione ha integralmente rigettato il ricorso del procuratore generale di Brescia che invece aveva chiesto pene più severe. E ha disposto un altro dibattimento che dovrà verificare nuovamente il nesso tra i decessi e le responsabilità specifiche dei singoli dirigenti e amministratori del petrolchimico di via Taliercio, ma anche ricalcolare gli indennizzi in favore dei familiari.
Le morti “cassate” sono tutte quelle causate da mesotelioma, malattia che insorge per una prolungata esposizione all’amianto.
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Morti Montedison: chiesto un nuovo processo]]
Sono sette in tutto, due delle quali già prescritte. Stiamo parlando di Nardino Ballesini, Silvano Donzellini, Luciano Monici, Dino Beduschi e Angelo Franzoni ai quali si aggiungono Severino Calore e Sergio Campo già prescritti. Non dovranno più rispondere di omicidio colposo Giorgio Mazzanti condannato in appello a 2 anni e 2 mesi (5 anni in primo grado), Piergiorgio Gatti, 3 anni e 6 mesi (7 anni e 6 mesi in primo grado), Paolo Morrione, 2 anni e 10 mesi (5 anni e 6 mesi in primo grado), Gianluigi Diaz, 2 anni e 6 mesi (4 anni e 6 mesi in primo grado), Amleto Cirocco, 3 anni e 6 mesi (8 anni e 10 mesi in primo grado), Gaetano Fabbri, 3 anni e 2 mesi (7 anni e 8 mesi in primo grado), Gianni Paglia, 2 anni e 6 mesi (5 anni e 7 mesi in primo grado), Francesco Ziglioli, 1 anno e 8 mesi (2 anni e 4 mesi in primo grado), Andrea Mattiussi 2 annie sei mesi (4 anni e sei mesi).
Per due decessi, invece, quello di Mario Bonfante e Francesco Negri (morti per patologie diverse dal mesotelioma) le condanne e i relativi risarcimenti in favore dei familiari sono stati confermati. Confermati anche gli indennizzi (si parla di tremila euro) alle altre parti civili, vale a dire Versalis spa, Syndial, Comune di Mantova, Provincia di Mantova, Inail, Medicina Democratica.
Il processo Montedison dunque torna a Brescia e ad occuparsene sarà un’altra sezione della Corte d’appello. Questo ha deciso la quarta sezione penale della Cassazione che si occupa di infortuni e decessi legati all’ambiente di lavoro. L’appello bis non riaprirà comunque questa drammatica vicenda che ha portato sul banco degli imputati dodici ex manager finiti a giudizio per la morte di 72 dipendenti nel periodo tra il 1970 e il 1989.
Tra circa un mese saranno depositate le motivazioni della Cassazione, scritte dal consigliere Salvatore Dovere.
Per l'appello bis non ci sarà molto tempo: il ruolo di udienza della Corte indicava che la prescrizione era già maturata lo scorso dieci giugno. I diritti agli indennizzi però dovrebbero essere salvi anche in caso di prescrizione se le responsabilità verranno nuovamente accertate o meglio approfondite. Solo la lettura delle motivazioni - come chiarisce l’avvocato Sergio Genovesi della difesa Montedison - consentirà di capire quanto sarà ampio l’appello bis.
«Una sentenza sbalorditiva - commenta Sandro Somenzi che al processo ha rappresentato alcune parti civili. - Si tratta di una sentenza che mette in discussione la responsabilità individuale e una verità scientifica, vale a dire il nesso da anni acclarato tra esposizione all’amianto e insorgenza del mesotelioma».
La Procura generale della Corte di Cassazione, poche ore prima della sentenza, aveva sostenuto la necessità di un nuovo processo sì ma per rideterminare al rialzo le condanne per i nove ex manager e aveva chiesto che fosse interamente accolto il ricorso presentato dalla procura generale di Brescia nella persona di Manuela Fasolato, attuale procuratore a Mantova, contro la prescrizione di parte delle accuse e l'alleggerimento delle pene per il mancato riconoscimento dell'omissione volontaria di adeguate misure di sicurezza a tutela della salute contro l'inalazione di benzene e amianto.
«Questa sentenza mette una pietra tombale, almeno per i prossimi decenni, sulla possibilità di punire penalmente chi si è reso responsabile di malattie professionali». A sostenerlo è l’epidemiologo Paolo Ricci, consulente tecnico della Procura nel processo Montedison. «Ogni deterrenza preventiva viene quindi meno. Sono convinto si tratti anche di una questione culturale. Il diritto penale esige dimostrazioni logico-matematiche, le cosiddette “leggi universali”, come quelle che si accertano nelle perizie balistiche in cui si può dimostrare quale pistola abbia sparato e da quale pistola sia uscito il proiettile mortale. La cancerogenesi però non funziona così. Nella biologia, ma anche nella fisica, quindi nella natura, queste leggi non esistono proprio. Esigerne la presenza costituisce un atteggiamento anti-scientifico. Il procuratore capo Manuela Fasolato ha compreso molto bene tutto questo e l’ha tradotto in aggiornata argomentazione giuridica, i suoi colleghi giudici di Cassazione proprio no».
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