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Caso Palazzi, e ora la presidente rincara: «Messaggio chiaro. Era da denunciare»

La socia dell'associazione e amica: ho sbagliato, avrei dovuto fare io denuncia: «Non erano solo approcci, lui faceva pesare il suo ruolo di sindaco»

di Rossella Canadè
2 minuti di lettura

Mantova, l'avvocato del sindaco: "Possibile che vogliano incastrarlo"

MANTOVA. «Quel messaggio era inequivocabile. Ho sbagliato, perché io avevo capito e avrei dovuto sporgere denuncia subito». Non è un puro mea culpa, quello della presidente dell’associazione culturale coinvolta nell’inchiesta che vede il sindaco Mattia Palazzi indagato per tentata concussione, ma l’amarezza di una donna che non è stata capace di intervenire per proteggere l’amica, la sua socia oggetto delle attenzioni del sindaco.

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«Non erano solo messaggi da approccio, c’era dell’altro», dice, oggi, senza mezzi termini. Perché, tra le decine di WhatsApp e le immagini che Palazzi ha mandato alla vicepresidente dell’associazione, «ce n’è uno in cui lui faceva valere il suo ruolo di sindaco». Il primo cittadino, come riportato dalla Gazzetta, fa un riferimento al sostegno che può dare alle associazioni, conclude con la frase “Cerca di attenerti alle regole”. «Ma prima di queste frasi, le chiedeva “favori” particolari».

La presidente ne è certa, perché è stata proprio la socia a mostrarglielo, così come, nel corso dell’estate, le aveva mostrato gli altri messaggi inviati del sindaco. «Ricordo che era agosto, e le ho detto che secondo me non si poteva andare avanti così, con tutti quei messaggi». Quello poi, per la presidente è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. «A quel punto lei non mi ha più raccontato nulla, probabilmente per evitare discussioni. Ma io avevo capito il senso, che era grave e andava aldilà dell’approccio. Come amica avrei potuto soprassedere, ma come donna e soprattutto come presidente di un’associazione no. Ora quindi devo difendere la nostra associazione. Ci sentiamo tutte mortificate».

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È facile ipotizzare che sia stato proprio questo messaggio, girato di telefonino in telefonino, ad attirare l’attenzione degli investigatori.

«Come l’ha girato a me, l’ha mandato ad altre, ad altri, finché non è arrivato nelle mani della Procura».

Secondo la presidente, l’amica, legata a Palazzi da una conoscenza di qualche anno, non avrebbe mai voluto «che scoppiasse questo finimondo, e in questo modo. Ma io avrei dovuto insistere di più per spingerla a denunciare quello che stava accadendo. L’unica cosa che ho fatto è stata quella di non usare il gratuito patrocinio del Comune per una nostra iniziativa. Di soldi non ne abbiamo mai presi, né abbiamo goduto di benefici, questo è sotto gli occhi di tutti, ma io non volevo più neanche il patrocinio. Alla fine noi oggi siamo le più esposte, lei soprattutto ma anche l’associazione, e chi ha sporto denuncia non esce allo scoperto. È più tutelato di noi».

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E per tutelarsi, oggi, la vicepresidente si è rivolta ad un legale. «L’ho incontrata venerdì pomeriggio. Ero appena rientrato da Roma, e non sapevo granchè di questo baillame -dice l’avvocato Davide Pini - l’unico modo per tutelare la signora è mettersi completamente a disposizione degli inquirenti per accertare la verità, per capire se in quei messaggi, di cui peraltro lei non mi ha parlato, si ravvisano dei reati». La donna, riferisce l’avvocato, ha parlato di un rapporto di conoscenza senza negare di aver capito che il sindaco provava verso di lei un interesse che andava al di là di quello professionale.

«Ma se fosse solo questo non si sarebbe mossa una Procura». Invita alla cautela, Pini, proprio in considerazione del ruolo pubblico dell’indagato. «La concussione, tentata o conclusa poco importa, è un reato molto grave, che non tocca solo la libertà di autodeterminazione di una persona, ma anche l’interesse al buon andamento della pubblica amministrazione». Chi ha sporto la denuncia? «Io non lo so».

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