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Mantova. Bufera in Comune: raffica di sms al vaglio, martedì il sindaco Palazzi dal pm

Interrogatorio già fissato. La vicepresidente: ammiccamenti, ma non pressioni

di Gabriele De Stefani e Rossella Canadè
3 minuti di lettura

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MANTOVA. Gli uffici della procura e del comando dei carabinieri sono impenetrabili all’indomani del terremoto giudiziario che, a quasi tre anni dall’operazione dell’Antimafia nei confronti di Nicola Sodano, ha nuovamente messo a soqquadro il municipio: stavolta l’accusa nei confronti dell’inquilino di via Roma è di concussione, per la presunta richiesta di favori sessuali alla vicepresidente di un’associazione culturale in cambio di contributi pubblici (di cui, ad oggi, non c’è traccia). Ma un contatto tra Paolo Gianolio, legale di Mattia Palazzi, e la procura ieri c’è stato ed è andato nella direzione sperata dall’avvocato, perché via Poma ha accolto la richiesta di ascoltare in fretta il sindaco. Accadrà nella giornata di martedì.

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È un appuntamento che, se da un lato corrisponde ai desideri espressi pubblicamente da Palazzi, dall’altro potrebbe essere interpretato – nelle dinamiche forensi – come il segnale che l’accusa è già pronta a porre domande precise al sindaco. E che, dunque, non avrebbe tra le mani solo l’esposto.

SOTTO LA LENTE. Telefonini, tablet, computer: gli strumenti tecnologici del sindaco, della vicepresidente e della presidente dell’associazione sono già al vaglio degli inquirenti, che cercano prove delle pressioni che Palazzi avrebbe esercitato abusando del suo ruolo pubblico. Qualcosa, pur nell’assoluto riserbo di procura e carabinieri, filtra: i messaggi e le fotografie che i due si sono scambiati via WhatsApp e Facebook sono numerosi e vanno al di là delle comunicazioni istituzionali. Il sequestro del telefono, invece, si spiega anche con le difficoltà tecniche che gli inquirenti hanno nel “bucare” l’impenetrabile app di messaggistica.

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Se la circostanza di per sé rientra nella sfera privata della vita di Palazzi, i contorni dell’interesse pubblico si delineano sotto diversi profili. In primis perché l’ipotesi dell’accusa è che quei messaggi contengano indebite pressioni: ad esempio in uno, che compare nel mandato che i carabinieri hanno consegnato alle parti dopo i sequestri, si legge un riferimento esplicito del sindaco al supporto che lui può dare alle associazioni e si chiude con un generico “Cerca di attenerti alle regole!”, che può assumere un peso solo se inserito in un particolare contesto, ancora tutto da dimostrare. Una battuta magari infelice, una piccola vanteria o invece un modo per mettere pressione?

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C’è poi - uscendo dalle dinamiche da codice penale ed entrando in quelle della credibilità e dell’opportunità politica - l’aspetto della distanza con quanto dichiarato giovedì da Palazzi: il sindaco aveva parlato di «alcuni incontri nel mio ufficio per parlare dell’associazione e di qualche scambio di messaggi», parlando di una conoscenza superficiale. In realtà il quadro che emerge è quello di una corrispondenza molto più intensa e non limitata all’attività istituzionale. È plausibile che Palazzi parlando con la Gazzetta abbia coperto parte della verità mentre invocava trasparenza perché umanamente in uno stato di comprensibile difficoltà, tanto da lasciare la città per qualche giorno per cercare di allentare la pressione.

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«Sì, magari qualche battuta e qualche ammiccamento ci sono stati – dice la vicepresidente al centro dell’inchiesta, a sua volta correggendo il tiro rispetto al giorno prima – ci siamo scambiati molti messaggi, ma mai ho percepito pressioni indebite da parte di Mattia, altrimenti lo avrei denunciato. Io sono stata sentita dal magistrato solo come persona informata dei fatti, ma ho deciso di affidarmi comunque ad un avvocato che possa tutelarmi se necessario».


L’ESPOSTO. Va intanto chiarendosi anche il contesto in cui si è arrivati ad un esposto in procura ancora privo di una paternità. La vicenda si sviluppa in un teatro di piccole rivalità tra associazioni attive a vario titolo in città: l’una contro l’altra per contributi di entità contenuta, ma molto agguerrite (alcune sono in aperto dissenso con l’amministrazione accusata di averle penalizzate). Il sindaco commette la leggerezza di concedersi qualche confidenza con una rappresentante di uno di questi gruppi e i messaggi iniziano a circolare fino a terminare nelle mani di qualcuno che ci vede un’ipotesi di reato e informa i carabinieri. Nell’entourage di Palazzi i sospetti si indirizzano decisi sul consigliere di Forza Italia Giuliano Longfils, la cui passione per le iniziative giudiziarie è consolidata da decenni. Lui si trincera dietro ad un «no comment».

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Quel che appare certo è che a denunciare non è stata la presunta vittima della concussione: oltre al fatto che è lei stessa a negarlo, se fosse lei l’accusatrice non si spiegherebbe il fatto che sia stata a sua volta destinataria di perquisizione e sequestri. Pare altrettanto inverosimile che la procura possa essersi mossa sulla base di una semplice segnalazione, priva di qualche elemento degno quanto meno di approfondimento.

GLI SVILUPPI. Palazzi auspica di poter fare chiarezza il più in fretta possibile: una richiesta comprensibile umanamente e politicamente, oltre che un principio cardine nella nozione di giusto processo. È però facile ipotizzare che i tempi non saranno brevi, a partire dalla ragione che scandagliare telefonini, tablet e computer non è un’operazione realizzabile in pochi giorni.

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