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Confermato il capo d'accusa: tentata concussione continuata

E' terminato alle 17,20 il faccia a faccia tra il sindaco Mattia Palazzi e il procuratore capo Manuela Fasolato e il sostituto Donatella Pianezzi. L'associazione culturale si costituisce parte lesa

di Rossella Canadè
3 minuti di lettura
Il sindaco Palazzi entra in Procura con il suo avvocato Paolo Gianolio (foto Saccani) 

MANTOVA. Tre ore di interrogatorio serrato. E' terminato alle 5 e 20 del pomeriggio il faccia a faccia tra il sindaco Mattia Palazzi e la Procura che lo accusa di tentata concussione continuata per aver chiesto favori sessuali alla vicepresidente di un'associazione culturale in cambio di aiuti per l'attività del gruppo. Il sindaco, all'uscita dalla Procura,  ribadisce di sentirsi a posto" con la propria coscienza, "i cittadini sanno che persona sono", ma alla domanda se ritenga di aver commesso qualche errore afferma di non poter rispondere.

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L'avvocato Paolo Gianolio riferisce che il capo d'imputazione è stato confermato: al primo cittadino viene contestato l'episodio dello scorso agosto, in cui in un messaggio WhatsApp Palazzi scrive " sai che un'associazione a volte non va avanti senza il mio consenso. Cerca di attenerti alle regole".

"Ci hanno esibito prove documentali e messaggi, non ci sono state sorprese, ma siamo ancora in fase di indagine quindi è normale che alcune prove non siano state mostrate" . Palazzi è stato convincente nelle risposte secondo lei? "Beh, l'oggetto della discussione è molto ampio, si parla dell'arco di tempo di un anno, quindi la memoria non sempre è perfetta". La signora destinataria dei messaggi è la parte lesa, cioé la vittima del reato, conferma Gianolio, che precisa che "in questo caso non c'è però coincidenza tra la parte lesa e chi ha presentato l'esposto". L'avvocato non esclude altri interrogatori né il deposito di una memoria.

E intanto l'associazione culturale al centro della vicenda oggi si costituirà parte lesa.

Il sindaco era arrivato in procura alle 14.15 accompagnato dal suo avvocato, Paolo Gianolio, e dal capo di gabinetto del Comune, Stefano Simonazzi. L'interrogatorio con il procuratore capo Manuela Fasolato e con il pm Donatella Pianezzi era previsto per le 14.30.

Palazzi entra in procura 

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MANTOVA. È rimasto blindato in ufficio con i suoi avvocati per tutto il giorno a preparare lo scudo per l’interrogatorio del 28 novembre. I due legali Paolo Gianolio e Silvia Salvato, con le carte della Procura, brevi e secche. Lui, Mattia Palazzi, con l’onere di tentare di raccontare quello che è successo nell’ultimo anno, sia dentro che fuori da quel telefonino che gli investigatori stanno passando ai raggi X da mercoledì scorso.

È tutto lì dentro: e il tutto deve aver riservato delle sorprese alla stessa Procura, a giudicare da quell’articolo 81 aggiunto al capo d’indagine. La concussione, tentata, è stata continuata, dal novembre 2016 al novembre 2017. Fino all’altro giorno, a voler fare i conti. Cominciata, secondo gli investigatori, proprio in coincidenza della nascita dell’associazione culturale di cui la donna, alla quale per l’accusa lui avrebbe chiesto favori sessuali per non intralciarne l’attività, è vicepresidente.

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«È una giornata importante, perché la Procura esibirà gli elementi raccolti finora» si limita a commentare l’avvocato Gianolio. Ieri mattina i carabinieri sono tornati in via Roma a prelevare le carte che mercoledì scorso non erano ancora disponibili. La presenza del procuratore capo Manuela Fasolato accanto al sostituto titolare dell’indagine, Donatella Pianezzi, sommati al ruolo dell’indagato, fanno immaginare che non si tratterà di un interrogatorio tanto breve.

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La Procura esibirà soltanto le prove che non pregiudicano le indagini ulteriori. Se le carte in mano agli inquirenti fornissero un quadro probante già abbastanza chiaro, l’ufficio del procuratore potrebbe chiedere il giudizio immediato. Un’eventualità che obbligherebbe la difesa a una scelta drastica. Ed è un’ipotesi a cui Palazzi, ancora molto provato, anche in considerazione dell’attenzione mediatica nei sui confronti, non vuole certo considerare. La concentrazione ora dev’essere tutta rivolta al faccia a faccia con i magistrati. Un incontro decisivo, a cui Palazzi deve arrivare preparato, tanto che dedicherà anche le prime ore del 28 novembre a ricostruire i fatti. La priorità è la precisione da opporre agli affondi della Procura, tesa a verificare in ogni dettaglio il capo d’imputazione.

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Palazzi potrebbe confermare la versione della donna, che off records definisce il legame con il primo cittadino «di conoscenza e affetto», senza nascondere l’interesse manifestato dal sindaco nei suoi confronti. Un gioco tenuto in piedi con scambi di messaggi. Fatti privatissimi su cui nessuno ha il diritto né la voglia di mettere il naso. «Non avrei mai voluto che scoppiasse questo pandemonio» non si stanca di ripetere, prima di trincerarsi dietro il silenzio imposto dalla Procura che dopo averle sequestrato telefonino e pc, l’ha sentita come persona informata sui fatti. Non come vittima, per il momento. Vittima lei si sente, invece, per l’attenzione suscitata, e punta il dito verso l’autore del j’accuse che ha scosso il novembre mantovano, l’anonimo estensore dell’esposto contro Palazzi. Il “nemico” a cui sono arrivati i messaggi del sindaco. Dimenticando, forse, che la tentata concussione è un reato perseguibile d’ufficio, per cui quindi, non sarebbe stato nemmeno necessario un esposto.

Gli approcci, se si vuole piuttosto strong, non avrebbero certo attirato l’interesse degli investigatori, e avrebbero tutt’al più strappato un sorrisetto ironico ai più maligni degli oppositori del primo cittadino, se non avessero contenuto frasi come «Sai che un’associazione a volte non va avanti senza il mio consenso. Cerca di attenerti alle regole». È stato questo intreccio tra la richiesta di favori sessuali e il ruolo del primo cittadino a provocare lo sconcerto prima e poi la rabbia della presidente dell’associazione, che oggi si pente di non essere stata lei a presentare denuncia. «Avevo capito la gravità e avrei dovuto intervenire». E difende a spada tratta la mano che ha steso l’esposto: «Non capisco perché davanti all’ipotesi di fatti così gravi, si dia la caccia alle streghe invece di guardare il reato». E non è un caso che la presidente stia per dare incarico a un legale per far costituire l’associazione parte offesa.

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