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Il sindaco Palazzi prepara il contrattacco: i nodi da sciogliere nell’inchiesta

Il primo cittadino e i suoi legali indagano sul ruolo dei consiglieri e sui loro rapporti con la Nizzoli e la Goldoni. Dai motivi della manomissione della chat alla figura della vicepresidente: le domande senza risposta

Gabriele De Stefani
3 minuti di lettura

MANTOVA. Dopo un Natale più sereno grazie alla richiesta di archiviazione dell’accusa di tentata concussione avanzata dal procuratore capo Manuela FasolatoMattia Palazzi mercoledì 27 dicembre tornerà a vedere i suoi legali Giacomo Lunghini e Silvia Salvato. All’ordine del giorno non c’è più la difesa in senso stretto, perché ora l’entourage del sindaco lavora al contrattacco: l’obiettivo è capire se davvero Elisa Nizzoli abbia agito da sola nel trasformare da erotici a penalmente rilevanti tre delle centinaia di messaggi ricevuti da Palazzi. È una sorta di contro-indagine quella messa in piedi dal sindaco e dai suoi legali.

Il caso Palazzi: cosa dice la legge


L’idea - evocata anche nell’intervista alla Gazzetta la settimana scorsa - è che ad armare la mano della vicepresidente di Mantua Me Genuit possa essere stato qualcun altro. Da cercare nelle fila dell’opposizione. Insomma al vaglio dei legali ci sono i rapporti tra la Nizzoli, la Goldoni e i consiglieri che conoscevano la vicenda da settimane prima dell’avviso di garanzia: non solo il firmatario dell’esposto Giuliano Longfils, ma anche Pierluigi Baschieri (Fi), i grillini Michele Annaloro e Tommaso Tonelli e il leghista Massimo Zera. Tutti al corrente fin dall’inizio, scrive Longfils nell’esposto.

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I 40 GIORNI. Nella denuncia, Longfils spiega di aver ricevuto da pochi giorni gli screenshot con i presunti messaggi di Palazzi alla Nizzoli poi rivelatisi manomessi. In realtà, la denuncia è del 4 novembre e la ricezione dei messaggi da parte della Goldoni risale al 12 settembre. Insomma, il consigliere azzurro impiega una quarantina di giorni ad andare dai carabinieri.

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Cosa accade in quel periodo? I contatti tra i consiglieri che conoscevano la vicenda, la Nizzoli, la Goldoni e Lorena Buzzago di Arte e Ingegno sono stati intensi come qualche esponente di Forza Italia aveva rivendicato? Di certo almeno alcuni di quei consiglieri - Longfils in testa - hanno premuto affinché le due donne facessero loro avere il materiale per procedere con l’esposto. Che poi solo il professore ha voluto firmare. Questo cambia qualcosa a livello processuale? Parrebbe di no, tanto più considerando che la falsificazione dei testi era già avvenuta. Ma la difesa scava, per capire in quale contesto i messaggi manomessi siano finiti a Longfils (e probabilmente non solo a lui).

Che qualcuno possa aver suggerito l’alterazione dei testi è un’ipotesi che Palazzi e i legali tengono in grande considerazione, senza però al momento avere elementi oggettivi per sostenerla né per indicare chi possa aver avuto questo ruolo.

IL RUOLO DELLA NIZZOLI. Qui, tra l’altro, ci si scontra con quanto fatto filtrare dai carabinieri: né la Goldoni né Longfils erano a conoscenza della manomissione dei messaggi. È però uno dei numerosi punti che lasciano aperti interrogativi: qual è la credibilità della Nizzoli? La 38enne era stata considerata meritevole di attenzione nel primo interrogatorio, quando aveva confermato messaggi poi rivelatisi falsi; ora la procura la ritiene credibile nel momento in cui - sentita in assenza del suo legale - afferma di aver fatto tutto da sola? Così pare, dal momento che i carabinieri hanno spiegato che per loro anche l’amica Goldoni era ignara del falso.

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Caso Palazzi, Mentana: «Berlusconi cacci via Longfils»]]

Altro particolare da sottolineare: nel mirino di Palazzi non c’è la Nizzoli, nonostante sia rea confessa e di certo figura centrale nella vicenda. Ma gli strali del sindaco continuano ad andare solo nella direzione degli avversari politici. Nelle dichiarazioni pubbliche e nei messaggi al popolo di Facebook la donna è sparita, a meno che non ci siano domande dirette dei giornalisti: la crescente ricerca di rivalsa del sindaco non la sfiora. Perché?

È vero, lei ha dichiarato di «essere stata usata»; ed è vero che una comunicazione basata sulla manovra politica distoglie l’attenzione da un rapporto comunque non prudente intrattenuto per mesi dal sindaco; ma di certo quella che ad oggi è l’unica rea confessa non è presa in considerazione da Palazzi e dai suoi se non come mera pedina gestita da altri. Una pedina quasi incolpevole. E lei resta fedele a una linea: dopo averlo inguaiato con i messaggi, ha sempre difeso Palazzi. Prima affermando di non essersi mai sentita minacciata da lui, poi definendosi «usata» da altri per far male al sindaco.

TUTTO VELOCE: COSA MANCA? Difficile trovare precedenti di un’inchiesta tanto rapida nella successione degli eventi: in 45 giorni dall’esposto all’avviso di garanzia con perquisizione, fino alla richiesta di archiviazione. In mezzo interrogatori, una visita del procuratore generale e la domanda della difesa di scavare sull’autenticità dei messaggi. Fino alla richiesta di archiviazione prima ancora che in via Poma arrivasse la perizia completa sui telefonini.

Insomma, da una parte la rapidità delle indagini è un mantra sempre invocato e dunque tutti si rallegrano che questa volta si sia anche concretizzato: e di certo non senza risultati da parte di via Poma, che ora ha in mano una confessione. Dall’altra, però, è inevitabile che restino domande senza risposta. Una su tutte: perché la Nizzoli ha alterato i messaggi? E poi: in che modo si lega il filone che vede Palazzi indagato per abuso d’ufficio per i contributi alle associazioni? La confessione della Nizzoli non assomiglia troppo al capitolo finale.

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