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Alsafil choc: stop produzione e tutti a casa

Castiglione. La nuova proprietà Fulgar avvia la procedura di licenziamento collettivo per 33 dei 37 dipendenti: «Solo attività commerciale»

di Monica Viviani
2 minuti di lettura

CASTIGLIONE. La doccia è di quelle gelate che tolgono il respiro. Anche perché arriva a poco meno di quattro mesi da quell’acquisizione ultramilionaria che avrebbe dovuto salvare le sorti di azienda e lavoratori: chiusura dei reparti di produzione e licenziamento collettivo per 33 dei 37 dipendenti di Alsafil srl a Castiglione delle Stiviere. La comunicazione, firmata dalla nuova proprietà Fulgar, di avvio della procedura è datata 28 dicembre ed è stata inoltrata via Pec a sindacati, ispettorato territoriale del lavoro, Provincia, azienda regionale per il lavoro Arifl, Inps e Inail.

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Alsafil, a settembre l’acquisizione da 16,3 milioni]]

Passata da leader mondiale nel settore dei filati al concordato preventivo, Alsafil spa è stata aggiudicata all’asta lo scorso settembre dalla castellana Fulgar per 16,3 milioni. Dalle sue ceneri è quindi nata Alsafil srl che con 37 dipendenti (di cui 6 impiegati, tre quadri e 28 operai) e due reparti produttivi si occupa di produzione, lavorazione e commercio di fibre naturali, sintetiche, artificiali e filati in genere. «L’acquisizione - si legge nella comunicazione per l’apertura della procedura di licenziamento collettivo - è stata effettuata allo scopo di sviluppare su mercati extra europei la commercializzazione di filati destinati in particolare al settore abbigliamento».

Cosa è accaduto in appena quattro mesi da sconvolgere a tal punto i piani di Fulgar? Secondo l’azienda i motivi andrebbero cercati nella crisi che aveva portato Alsafil spa alla procedura di concordato preventivo con quote di mercato perse non solo per la crisi del comparto e l’aggressiva concorrenza asiatica, ma anche «a causa di fattori individuali radicati nella gestione in costante asfissia finanziaria che ha indotto a vendite in perdita e a carenze nel servizio e nella qualità del prodotto con progressivo inesorabile indebolimento del marchio e della reputazione del medesimo». Insomma il dito viene puntato verso la passata gestione sfociata nella cassa integrazione straordinaria che si chiuderà il prossimo 22 gennaio. Scrive la nuova proprietà che i suoi sforzi per il rilancio aziendale «si sono dovuti scontrare, uscendone sconfitti, con la situazione di mercato deteriorata oltre le aspettative», con l’ulteriore diminuzione dei prezzi dei prodotti asiatici nonché con la perdita del mercato portoghese «di storica importanza per l’azienda». Fulgar cita quindi i dati di bilancio che vedono il fatturato 2017 (circa 9, 8 milioni) dimezzato rispetto a quello 2016 («sulla cui effettività e proiezione futura si era formata la volontà di acquisto dell’azienda») e le proiezioni per il 2018 di un fatturato atteso tra i 5 e i 6 milioni di euro. Quando quello dell’esercizio del 2015 si attestò a 31,2. Di qui la constatazione «che la percentuale di utilizzo degli impianti produttivi oggi possibile non solo sarebbe incompatibile con l’equilibrio finanziario, ma addirittura non sarebbe sostenibile sul piano industriale».

Viene da chiedersi come sia possibile che una simile situazione non fosse nota anche prima dell’asta di settembre. Fatto sta che ora «l’unica soluzione possibile è quella di cessare l’attività produttiva e indirizzare l’azienda verso un’attività puramente commerciale». Quindi: chiusura dei reparti produttivi e conseguente ridimensionamento dei reparti amministrativo e commerciale. Le 33 posizioni lavorative che l’azienda punta a sopprimere «nel più breve tempo possibile» riguardano 5 impiegati, due quadri e 26 operai.

Ora toccherà a sindacati e istituzioni tentare di arginare questa ennesima tragedia occupazionale. Intanto l’azienda mette già le mani avanti, nero su bianco: «Non sussistono alternative».
 

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