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Vite impossibili e senza tutele: all’outlet ora si svolta a destra

Dopo l'ex Iveco, prosegue la nostra intervista collettiva in vista delle elezioni. Siamo andati alla Città della Moda di Bagnolo San Vito, tra turni infiniti e il bisogno di politiche per la famiglia. «Sempre qui a lavorare, ma vivere con lo stipendio è dura. E gli stranieri si prendono tutti i contributi»

di Francesco Abiuso
4 minuti di lettura

BAGNOLO SAN VITO. «Che cosa vorrei dai nostri politici? Beh, mi piacerebbe per una volta restare a casa il giorno di Natale!». Tra una piega di un vestito e un’altra, il “buongiorno!” che squilla all’ingresso di ogni cliente e le hit musicali che sciolgono nell’aria la giusta atmosfera che ben dispone all’acquisto, raccogliamo come tessere sparse di un puzzle indizi su quel che succederà alle prossime elezioni da un punto di vista particolare: quello del popolo della Città della Moda. Non di chi ci va per comperare, ma di chi ci lavora. Commesse, addetti alla sicurezza, dipendenti di bar e ristoranti. Un esercito silente che ogni giorno contribuisce a dar vita alla felice rappresentazione di un tempio dello shopping a forma di villaggio. Operazione non sempre facile, raccontare questo mondo: occorre scavalcare il muro di “ora non posso”, “si rivolga alla mia responsabile” calati a mo’ di scudo da chi sgattaiola via dal taccuino. Ma non impossibile.

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Il 4 marzo all’outlet di Bagnolo sarà un’affollata domenica di lavoro come tutte le altre. «Sono qui da quasi cinque anni qui – racconta Valentina – e quando qualcuno viene a lasciarmi un curriculum, metto bene in chiaro la questione: “Guarda che, se ti assumeremo, tu vivrai qui dentro”». Valentina: venticinque anni, un diploma di operatrice tecnico dell’abbigliamento alle spalle e una prima gavetta nelle aziende di moda della zona di Carpi «che non mi volevano perché, dicevano, ero troppo giovane». Poi l’assunzione per una delle catene di abbigliamento più diffuse, un impiego a Bagnolo che anno dopo anno si fa più consistente, come anche la remunerazione («Sono ben sopra i 1.100 euro» dice con orgoglio). Non a tutte va così bene, certo: «Ho sentito di gente che arriva a prendere 900, anche 600 euro. E mi chiedo come facciano, visto che con quei soldi ci devi vivere e devi toglierci anche quelli per la benzina».

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Ma anche a prendere “bene”, come Valentina, arrivati alla fine della giornata lavorativa, dismesso il sorriso d’ordinanza, nonostante la fuga dal posto di lavoro non resta molto tempo libero da godersi: «Siamo sempre qui, e anche la vita privata ne risente. Convivevo, ma è finito tutto: ci vedevamo appena due ore al giorno ed ero sempre stanca. Non è facile».

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) «I politici? Qui non si sono visti». In fabbrica a Suzzara soffia il vento 5 Stelle]]

Di fronte a una delle categorie più colpite dalla deregulation del lavoro, verrebbe da pensare d’imbattersi in uno dei mondi più sindacalizzati, in un piccolo esercito messo a dura prova e quindi più di tutti convinto della necessità di mettere barriere al business e alle sue richieste inconciliabili con la vita privata. In una rabbia pronta a sfociare, ora, anche nell’urna. Ma la ricerca di chi, nell’anno X della crisi, potrebbe essere premiato alle elezioni dal mondo del lavoro senza domeniche s’interrompe bruscamente: «Una volta sola abbiamo provato a scioperare, ma è andata male: non ha partecipato nessuno».

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Compagni lavoratori non unitevi. Tanto meno nell’urna. Alle elezioni Valentina crede che voterà a destra. E così farà, anche più decisa di lei, la sua collega Annisca, 28 anni, anche lei commessa, un bimbo di due anni e mezzo e una laurea in Beni culturali lasciata nel cassetto dopo una serie di offerte di stage non retribuiti: «Finché c’è da lavorare non mi lamento. – argomenta – In fondo, se guardiamo a quello che succede all’estero non ci va nemmeno più di tanto male: ci sono catene di negozi che restano aperte anche durante la notte». Piuttosto, il discorso si sposta sul lato privato: «Sono sempre qui dentro a lavorare, e va bene. Ma bisogna che qualcuno si prenda l’impegno di tutelare la famiglia. Perché a fronte di questo impegno full time guadagno 1.100 euro al mese, ma per portare il mio bambino al nido il Comune di Roncoferraro mi ha chiesto ben seicento euro. Come si fa? E io già con i 1.100 euro al mese sono ben sopra la fascia Isee che dà diritto alle agevolazioni. Questo mi fa rabbia. Specie perché so che molti stranieri, che invece non lavorano, hanno accesso a tutti i contributi. E spesso tutti questi aiuti arrivano a fronte di comportamenti nemmeno troppo in linea con le nostre regole, che invece noi italiani dobbiamo rispettare». «Il nostro Paese ha bisogno di questo: aiuti alla famiglia – conclude – e di meno pressione fiscale: il mio compagno gestisce un bar, e le tasse sono troppo alte».

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Si va a destra, dunque, vista come l’unica barriera a tutela di qualcosa: della famiglia, delle regole o anche del Paese. «Di quel Paese per il quale mio nonno ha combattuto» dice Ivana, 36 anni, da dietro il bancone di una delle attività di ristorazione. Confessa: «Ho tanta nostalgia dei tempi andati. Vorrei che l’Italia tornasse anni indietro, che l’economia riprendesse a girare. Qui abbiamo solo bisogno di lavoro. E di lavoro stabile, perché solo così si possono avere quelle garanzie sulle quali impostare il progetto di una famiglia». Invece non è così: «Io sono stata fortunata: ho trovato questa sostituzione di maternità, e sono qui da un anno con buon possibilità che il lavoro possa continuare. Ma per una donna della mia età, e nella mia situazione, le porte sono chiuse. Ho 36 anni, non ho ancora famiglia e figli. In pochi sarebbero disposti ad assumermi temendo che, nel giro di pochi anni, voglia sposarmi e fare figli». Anche qui, proviamo ad allungare la traiettoria: il 4 marzo cosa scriverà sulla scheda? Ivana è una delusa della Lega: «L’ho sempre votata, ma ora... troppi discorsi, troppe magagne». E allora, da dove ripartire? «Per il momento proprio non lo so: finora ho avuto poco tempo per informarmi. Lo farò nei prossimi giorni». Di due cose è sicura. Primo: «Abbiamo un fisco troppo pesante. Io vorrei investire, ma mi sento incastrata». Secondo: «Se dipendesse da me, stopperei l’arrivo di tutti questi stranieri. Non ci sono aiuti né lavoro per noi italiani...»

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Piccole pennellate di un’Italia che va verso il voto. E che ci va piena di rabbia, e a testa bassa, perché impegnata ogni giorno (festivi compresi) a sbarcare il lunario. Si naviga a vista, qui all’outlet, come in tanti altri spaccati della società. Magari pronti a lasciarsi incuriosire da novità («Ho visto in tv questo gruppo, 10 volte meglio – dice Antonio, al bancone della focacceria Panepiero – alcune idee mi hanno incuriosito, anche se il Pd è il meno peggio»). Ma la delusione è tanta. Leggere tra le righe del prossimo “Buongiorno!”.
 

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