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«Noi, gli schiavi in Germania»

Gli Internati militari italiani: fatica, sofferenza e paura nel racconto del reduce

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CASTIGLIONE DELLE STIVIERE. Chi afferma che a Castiglione delle Stiviere non c’è stato alcun coinvolgimento con il 25 aprile e nessun castiglionese ha mai avuto a che fare con la vicenda dei partigiani, può chiedere un parere a Mario Meldini, classe 1924, memoria di ferro, voce bassa ma ferma e decisa, sguardo sereno e penetrante.

Scolpite nella sua mente le date, i nomi e i luoghi della sua prigionia in Germania.

Si muove lentamente Mario, causa una brutta caduta che lo ha costretto a un inverno al chiuso, «ora però esce il sole e posso tornare in piazza a passeggiare». La lentezza che si incarna in Meldini, però, è quella che Calvino chiamava «valore per il nuovo millennio».

Meldini fa della lentezza un rafforzativo della sua parola, dei suoi racconti. «Sono stato preso 10 giorni dopo il mio arrivo a Bolzano. Ultimo fra quelli chiamati in guerra. Sono nato il 17 dicembre del 1924, mi hanno fatto prigioniero l’8 settembre del 1943. Ero nel IV° reggimento Genio. Ero arrivato da poco, non avevamo ancora fatto il giuramento».

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A 17 anni Meldini si trova davanti i soldati tedeschi con le armi in pugno. «Ci portarono nel letto del fiume Isarco, era asciutto. Eravamo in 20mila, tutte le divisioni vicine al confine portate in quel luogo. Piano piano ci caricarono sui vagoni bestiame, di legno, senza cibo». Il viaggio verso la prigionia inizia così. Meldini finisce nel campo di lavoro di Leverkusen, dove per 8 mesi lavorerà alla Bayern. «Era una ditta grossa, importante. Ci misero a lavorare come bestie. Da magiare non c’era nulla, poche patate e zuppa calda. Il terrore era la notte quando i soldati ubriachi entravano nelle baracche. Morire era semplice. Bastava davvero poco».

Il lavoro in fabbrica finisce e Meldini con altri compagni viene trasferito.

«Ci hanno fatto fare di tutto: dallo scavare le fosse e le trincee, al lavoro in fabbrica, mi hanno fatto anche lavorare con l’amianto e con l’eternit. Di tutto. Eravamo schiavi. Alcuni non ce l’hanno fatta, altri hanno fatto la scelta della Repubblica sociale. Io detesto i nazisti, ancora di più i fascisti. Ho resistito fino alla Liberazione». Meldini viene liberato dagli americani.

«Ero nel campo di Solingen Wald, nella zona di Düsseldorf, e lavoravo metalli. La Liberazione arrivò e con questa la voglia di tornare a casa. Ci provai, con un compagno di prigionia, prendendo un camion, dato che potevamo prendere tutto. Ci dissero di no».

Per alcuni mesi Meldini attende. «In quel periodo iniziai a cantare, con un gruppo di amici, e a suonare l’organo. La cosa funzionava e ci diedero anche un piccolo palcoscenico. Nel mentre cercavamo il modo di tornare a casa dove, come nel mio caso, nessuno sapeva che ero vivo». Il viaggio viene intrapreso dopo alcuni mesi. Camion e a piedi e ancora camion, fino a Castiglione, dove Meldini torna sul far della sera quando all’ex piscina Lido le persone stanno ballando.

«Mi madre era infortunata e non poté corrermi incontro, ma ormai ero a casa».

Meldini ricorda una Castiglione a terra, «c’era da rimboccarsi le maniche. Io lo feci e sono finito a Milano. La donna di cui mi innamorai aveva una locanda e i castiglionesi che erano a Milano si ritrovavano qui. Nacque il Club Costa della Balena, che ci riuniva. Avevo molti amici, ma a questi non ho mai chiesto nulla, neppure ora. Sono sereno, ho avuto chi mi ha voluto bene e chi me ne vuole ancora. Mi aspettavo un piccolo aiuto da qualche amico, ma questo non è successo». Le mani sono affusolate e lisce nonostante siano mani sulle quali si vede il segno del tempo. Se il corpo può tradire, la mente e lo spirito non portano inganno a Meldini.

«Avevo una bella voce e cantavo, l’ho fatto fino a poco tempo fa e ancora oggi, pur se in modo diverso, lo faccio ogni tanto. Ho avuto la fortuna di girare il mondo e questo è un aspetto importante della mia vita. Sono anche tornato in Germania, qualche volta».

La foto con gli altri prigionieri che sono tornati è «nata dalla volontà del colonnello Regina che ha voluto far preparare quell’immagine che mercoledì 25 aprile sarà esposta al Dallò». Tuttavia, Meldini contesta l’appellativo Imi, «perché mi pare che sminuisca il nostro gesto. Noi eravamo prigionieri, veri e propri schiavi. Trasformarci in Imi mi pare che serva per addolcire quello che abbiamo sofferto e vissuto». Mario ama parlare e la conversazione non è affatto banale e neppure scandita da occhi desolati.

«Amo divertirmi e far star bene le persone. L’ho sempre fatto» ed è vero perché si esce da casa di Meldini con la consapevolezza che si può tornare a trovarlo, anche solo per parlare con lui, un uomo che a 94 anni è un vero e proprio archivio ragionato della memoria castiglionese e non solo.

Luca Cremonesi
 

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