Schiavi nei campi, il nuovo caporalato nelle micro-aziende gestite da stranieri
Task force dei carabinieri: 7 persone in manette da gennaio. Il sospetto della Cgil: «Dietro ci sono interessi di italiani»
Sabrina PinardiMANTOVA. Pagati pochi euro l’ora, sfruttati come schiavi. Un miraggio il contratto regolare. È la condizione di molti braccianti agricoli, anche nella pianura padana dell’agricoltura 4.0. Sono soprattutto stranieri, ma sono principalmente stranieri, del resto, i lavoratori agricoli: viene dall’est Europa, dal Nord Africa, da Bangladesh e Pakistan il 70% degli stagionali (dati Cgil Mantova), la categoria più debole e ricattabile.
Dall’inizio di quest’anno, i carabinieri di Mantova hanno arrestato sette persone per caporalato, quattro soltanto nelle ultime due settimane. Non è il caporalato del furgone a bordo strada che carica i lavoratori per portarli nei campi, ma in comune con quel genere di intermediazione criminale tra domanda e offerta di lavoro c’è lo sfruttamento. L’ultimo arresto, i carabinieri l’hanno fatto la settimana scorsa a Ceresara. In manette è finito un 37enne bengalese, titolare di un’azienda orticola, che faceva lavorare, sottopagandoli, quattro connazionali.
[[(gele.Finegil.Image2014v1) 01CAPAPE6X15010_E_WEB]]
Fenomeno in aumento o stretta sui controlli? «Per l’analisi fatta – spiega il comandante provinciale dei carabinieri di Mantova, il colonnello Fabio Federici - il fenomeno non è aumentato, ma sono aumentati i nostri controlli: grazie a una studiata e mirata sinergia fra Nucleo ispettorato del lavoro e arma territoriale in tutta la provincia abbiamo doppiato (+100%) già oggi i risultati dell’intero anno passato. Le persone arrestate nel 2018 a oggi sono sette, mentre in tutto il 2017 ne sono state arrestate cinque. E chiaramente i controlli continueranno senza sosta».
La definizione di caporalato, per la legge, è ampia: «Si intende lo sfruttamento di lavoratori con violazione delle norme giuslavoristiche» precisa Federici. E riguarda chi recluta manodopera per conto terzi e chi quella manodopera la impiega nella propria azienda. Lo sfruttamento, poi, può prendere diverse forme: salario da fame e alloggi degradanti, violazione delle regole su orari di lavoro, periodi di riposo o sicurezza per citare alcuni dei casi più frequenti.
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) «Dodici ore di lavoro al giorno ma non mi pagano da febbraio»]]
L’aumento dei controlli non è casuale. L’input arriva dalla prefettura: «C’è stato un impulso forte da parte del prefetto Sandro Lombardi fin dal suo insediamento - conferma il viceprefetto Angelo Araldi - cui è seguita una grande collaborazione delle forze dell’ordine, che si sono impegnate in operazioni che spesso richiedono lunghi appostamenti».
I sette arrestati per caporalato sono tutti stranieri e gestivano un’azienda nell’Alto Mantovano, tra Guidizzolo e i comuni vicini, area in cui è molto diffusa la coltivazione dell’ortofrutta. Anche tra gli stessi immigrati: in tutta la provincia, le aziende con titolare straniero sono 121 (dato Camera di Commercio, 2017) e 21 di queste hanno la sede a Guidizzolo. Prendono in affitto il terreno, con cifre sostenibili (dai 300 ai 1.000 euro l’ettaro all’anno) e in molti casi coltivano verdure esotiche che poi vendono fuori provincia. Questi i regolari, poi c’è il sommerso stanato dai carabinieri. Che sul perché gli arrestati siano stranieri hanno le idee chiare: «Si tratta molto spesso di soggetti stranieri perché si improvvisano imprenditori agricoli - prosegue Federici - quindi prendono in affitto i terreni dismessi e vi immettono braccianti agricoli di propria etnia, senza dotarsi di adeguata struttura aziendale e approfondire bene le legislazioni connesse all’attività ».
Il dubbio della Cgil è che dietro a queste piccole aziende gestite da immigrati si celi un interesse da parte di imprenditori italiani. «Chi mette a disposizione i macchinari? A chi sono intestate le utenze? E, soprattutto, se affitto il mio terreno dandolo in affitto posso lavarmi le mani per ciò che vi succede?» si chiede Gianni Gerace della Flai Cgil . Lavarsi le mani forse no, ma «di fatto ai proprietari dei terreni non è possibile addebitare alcuna responsabilità».
I commenti dei lettori