CASTEL D’ARIO.Non è qui, Matteo. Non c’è lui dentro questa bara bianca ricoperta di fiori. Non c’è niente di lui in questi occhi gonfi di pianto, negli abiti scuri che fanno dimenticare l’estate, nei singhiozzi strozzati di un paese intero. Matteo è nelle parole dei suoi amici, «che ridere quando ti addormentavi in classe», nei ricordi dei pomeriggi a fare i compiti con un occhio all’orologio e l’altro alla porta per sgattaiolare fuori.
Nelle ciocche tinte di verde che brillano sulle teste per assomigliargli un po’, per dirgli «non te ne sei andato e non te ne andrai mai».Tantissimi hanno 14 anni come lui, ma ci sono anche gli amici più grandi, i fratellini, che le mamme oggi stringono forte per paura di perderli. Come è successo ai genitori di Matteo Pedrazzoli, schiacciato sotto una maledetta panchina che nessuno riuscirà più a chiamare installazione artistica.
Riempiono i primi banchi, quelli che sono arrivati presto, e tutti gli altri non si arrendono a restare in fondo alla chiesa, che sembra scoppiare: a piccoli passi bucano la folla sul sagrato, fanno lo slalom tra la gente in piedi e si mettono accanto alla bara. Abbracciati.
Non lo lasciano solo nemmeno oggi, come non l’hanno lasciato solo nemmeno la sera maledetta, quando cercavano di sollevare i quintali di ferro che avevano schiacciato Matteo. Sembrano una barriera di vita contro la forza invincibile della morte.
Ci prova, don Marco Mani, a suggerire il conforto della speranza della resurrezione, «facciamo che questa sia una messa pasquale, lo abbiamo deciso con la famiglia», ma convincersi che Matteo e il suo sorriso di sole non ci sono più è impossibile. Assurdo se ti hanno sempre detto che hai tutta la vita davanti.
Nessuno di loro dovrebbe essere qui, oggi, a fare a pugni con un dolore «immenso e lacerante», come lo definisce don Marco. Ingiusto. «Quello che resta anche oltre la morte sono i legami d’amore e d’amicizia, le relazioni umane che non finiscono. Sono i legami il ponte tra la terra e il cielo». Loro un ponte verso il loro amico hanno provato a costruirlo la sera di ferragosto: sono andati tutti vicino ai giardini, dove hanno riso con Matteo per l’ultima volta, con quattordici lanterne cinesi, e le hanno lanciate verso il cielo.
«Queste sono luci che nessuno potrà mai spegnere», e don Marco si commuove. Trattengono il singhiozzo i due ragazzi che leggono l’ultimo saluto al loro amico. «Una delle persone più belle mai conosciute». «Sei stato il nostro fratello e lo sarai sempre. Facevi di tutto per farci ridere. E lo stai facendo anche adesso, da lassù». «Ti prego, qualche volta vienimi in un sogno e abbracciami, come facevi prima».
Gli applausi scoppiano e la chiesa di Castel d’Ario sembra esplodere.
Verso l’alto, verso Matteo, diventato una scia luminosissima. —