Da Volta a Chengdu per insegnare l’inglese ai cinesi
Laureata in cinese, Giulia Cremasco, 25 anni, ha fatto l’insegnante volontaria grazie a un progetto internazionale
Sabrina PinardiVOLTA MANTOVANA. «Non arrivare a Chengdu quando sei giovane, perché non te ne vai più». A Chengdu, Giulia ci è stata nell’estate che è appena passata, per rincorrere due delle sue passioni più grandi: insegnare e viaggiare. E forse avrebbe voluto che quel proverbio, sussurrato da chi l’ha ospitata dall’altra parte del mondo, diventasse realtà. Nella città cinese, capoluogo della provincia sud-occidentale del Sichuan, Giulia Cremasco, 25enne di Volta Mantovana, c’è rimasta cinque settimane: con un progetto di volontariato internazionale, ha insegnato l’inglese ai bambini e ai ragazzi del posto.
Il progetto
Cinque settimane, ognuna in un’area diversa della città, in cattedra con studenti di tutte le età: «Ho lavorato con bimbi di 7 anni e con ragazzi delle scuole superiori – racconta Giulia – ho dormito in un dormitorio con venti volontari come me da tutto il mondo, in un ostello per giovani e ospite di una famiglia. E ho insegnato ai figli di famiglie ricche e povere. È stato bello conoscere più facce della stessa città».
Ha scelto Chengdu perché più vivibile di Shanghai e Pechino, nonostante i suoi 15 milioni di abitanti, e perché vicina a luoghi in cui potersi perdere tra la natura (altra passione di Giulia). Con lei, a condividere l’avventura, due ragazze marocchine e due egiziane, e poi tedeschi, messicani, romeni e russi. Età dai 20 ai 25 anni e stessa capacità di sentirsi a casa propria a qualsiasi latitudine.
La scelta di Giulia
La decisione di partire è maturata nel corso di un anno, quando gli esami all’università erano agli sgoccioli e c’era da cominciare a capire cosa fare da grande. «Volevo qualcosa di diverso, che mi desse grinta». Per un anno, mentre studiava per laurearsi in lingue e culture dell’Asia orientale alla Ca’ Foscari di Venezia, ha lavorato come maestra alle elementari di Volta Mantovana.
Insegnava inglese e storia, e metteva via i risparmi per potersi concedere quei mesi di viaggio e volontariato che aveva in mente. In marzo si è laureata e poco dopo è partita. «Mi sono incontrata in Indonesia con un’amica che lavora in Australia. Dopo un mese ci siamo spostate in Malesia e da lì, a fine luglio, ho preso il volo per Shanghai».
La Cina è stata quasi una scelta obbligata: a Pechino ci aveva già passato un semestre per migliorare la lingua, ed era scattata la scintilla. Anche per il progetto, però, non ha avuto esitazioni: «Non importa in quale parte del mondo, questo è il lavoro della mia vita» ci dice Giulia mostrando la fotografia che la ritrae con gli scolari di Chengdu.
Ambasciatrice dell'Italia
Non soltanto l’inglese. C’è scappata pure qualche lezione sull’Italia: «I bambini sono sempre molto curiosi. La prima volta che sono stata in Cina mi guardavano come un’aliena, mentre questa volta ho trovato molta più curiosità».
Dall’Italia, del resto, non arrivano molte notizie, perché mancano collegamenti e quindi informazioni. «Non funzione nulla: Facebook, Google, Youtube e Instagram sono bloccati. Usavo applicazioni per aggirare questo ostacolo, ma non sempre funzionavano. E la cosa strana è che non tutti sembrano rendersi conto della mancanza di libertà. Ricordo che quando sono stata in Cina la prima volta, a Hong Kong c’era appena stata la rivoluzione degli ombrelli. Le ragazze cinesi con cui avevo fatto amicizia all’università non ne capivano il senso». Eppure la censura è su tutto: «Ci è persino stato detto di non parlare del progetto all’esterno, per evitare che il governo ce lo annullasse».
Shock cinese
La Cina materialista e frenetica che ha trovato visitandola ha poco a che fare con la cultura imparata sui libri, con i legami tra una lingua antica, la storia e la filosofia. «È stato uno shock, ma non mi sento di giudicarli». Anche grazie a episodi che l’hanno fanno ricredere: «Ero con un’amica in una piantagione di tè. Prima di arrivare alle case da tè, nelle quali cercano di venderti qualsiasi cosa, un vecchietto ci ha invitato a entrare nella sua casa, piccola e umile. Ci ha offerto il tè e il poco che aveva, e alla fine ci ha ringraziato e ci ha detto che non ci avrebbe mai dimenticato».
Il futuro
Il viaggio lo rifarebbe subito, perché questi pochi mesi, in quanto a esperienza, «sono valsi come dieci anni di vita». Ma adesso, cosa succede? «Credo che per quest’anno insegnerò in Italia, ma mi sono già informata per l’Australia: cercano insegnanti di italiano».
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