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Anche nei post su Facebook la traccia della depressione

I social sono un enorme archivio di dati utilizzabili a scopo medico: analizzando i post si possono trovare "marcatori" delle condizioni mentali

Manuela D’Amen
1 minuto di lettura
MANTOVA. Facebook costituisce un enorme database di dati, ormai usati anche a scopi medici. Analizzando i post, infatti, si possono trovare segnali di condizioni mentali come depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico. Lo rivela un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, che ha analizzato le pagine Facebook di 683 utenti, col consenso degli interessati, nell’arco dei sei mesi precedenti e confrontati con i dati medici.
 
I dati estratti dall’uso del social hanno portato all’identificazione di “marcatori” – parole o espressioni usate nei post solo dagli utenti che hanno poi sviluppato il disturbo depressivo. Sorvegliate speciali parole come “lacrime”, “sentimenti” e l’uso ricorrente della prima persona. Chiamati “marcatori linguistici associati alla depressione” o “bandierine rosse linguistiche”, sono potenziali sentinelle di disturbi depressivi. Anche parole che esprimono ostilità, solitudine, pensieri ricorrenti possono indicare un rischio di depressione.
 
Un software per stimare il rischio di sviluppare il disturbo depressivo, così gli studiosi dell’Università della Pennsylvania e della Stony Brook University hanno potuto identificare utenti a rischio fino a diversi mesi prima dell’insorgenza. Il software è basato sul riconoscimento delle bandierine rosse linguistiche. Accanto ai più tradizionali metodi biofisici, quindi, un aiuto per medici e pazienti nella diagnosi ai primi stadi.
 
La possibilità di interventi precoci consentirebbe di evitare aggravamenti successivi. Un gran numero di persone è interessato: solo nel nostro paese, stando ai dati Istat relativi agli anni 2015-2017, sono quasi tre milioni gli italiani con disturbi depressivi. Non è il primo tentativo di usare i social per diagnosi mediche, ma in questo caso gli autori avevano a disposizione anche le cartelle cliniche dei pazienti.
 
Gli autori hanno paragonato il metodo sviluppato a quello usato in genomica. Le parole usate sarebbero dei "marcatori" che indicano la presenza del disturbo depressivo, proprio come avviene nel genoma, quando si cerca una sequenza di Dna associata a malattie.
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