L’ex Ct italiano: «Allenai all’ex Opg di Castiglione. La miglior lezione della mia vita»
A dieci anni di distanza Mauro Berruto ricorda la sua esperienza: «Lì ho imparato che lo sport è riscatto»
Francesco RomaniCASTIGLIONE DELLE STIVIERE. I suoi atleti erano persone malate di mente che si erano macchiate di delitti e per questo recluse all’Ospedale psichiatrico giudiziario. «La peggiore squadra che ho mai allenato». Ma da quella esperienza Mauro Berruto, ex Ct della nazionale di volley ed oggi direttore sportivo degli azzurri di tiro con l’arco, ha confessato dopo 10 anni di essere cambiato. «Dopo quei mesi non ho più guardato lo sport con gli occhi di prima - ha scritto sulle pagine di Avvenire -. Ho imparato che la bellezza che ci circonda incide sul nostro comportamento. Io, che sono cresciuto come allenatore professionista avendo come obiettivo la vittoria, sono diventato consapevole che realmente lo sport è un linguaggio universale. Che una maglietta di un campione può parlare di pace a un bimbo afghano. E che quelle persone sovrappeso e piene di farmaci, con alle spalle storie terribili, potevano gioire per un’azione ben fatta, o la vittoria di un set».
Berruto nel 2008 allenava la Gabeca a Montichiari, serie A, nel palasport locale, un “tempio” del volley. Un medico dell’Opg lo invitò a Castiglione e gli propose di tentare un esperimento sportivo. «Si facevano laboratori di lettura, di arte, teatro - ricorda Berruto -. Ma quando entrai a Castiglione, ebbi una impressione pazzesca. Il buio, le urla. Mi dissi che forse lo sport poteva essere una terapia». È una sfida che dalla sua parte trova un giudice che acconsente di poter trasferire i “giocatori” ad allenarsi a Montichiari. Mai scelta fu più azzeccata. Quello spazio illuminato e grande del palasport è una sorta di cattedrale laica dove avviene una trasformazione e una redenzione. «Imposi che si facesse tutto come giocare una partita di serie A. - dice Berruto -. La rete bella, i palloni ufficiali, le magliette. Tutto pulito, luminoso e ordinato. In quei mesi non ho mai avuto una defezione, mai una rinuncia». L’acme si raggiunge in una sfida con una squadra di studenti. L’Opg vince un set, e un “atleta” fa 7 punti consecutivi in servizio. Un tripudio. «Mi dissero poi che quell’esperienza era servita perché quei giocatori avevano meno bisogno di psicofarmaci. Cambiò anche me, perché capii il valore universale dello sport, che è cultura del movimento. E riscatto umano». —
Francesco Romani
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