Condannato per molestie sessuali alla cassiera
Un anno e nove mesi al direttore di un supermercato di Cerese che si difende: «Fu un innocente buffetto su un fianco»
Andrea MogliaBORGO VIRGILIO. Per il pubblico ministero non c’è alcun dubbio, si è trattato di una serie di molestie e di un gesto, una mano sul fondoschiena, che per il codice penale è violenza sessuale. Per la difesa, invece, nulla del genere, c’è stato solo un innocente buffetto su un fianco. Si è concluso con una condanna il processo ad Alessandro Governo, 40enne al tempo direttore responsabile di un supermercato di Cerese: in base alle accuse di una giovane dipendente del supermarket la corte gli ha inflitto un anno e nove mesi di reclusione. «Attendiamo le motivazioni della sentenza» si è limitato a riferire l’avvocato veronese Alberto Franchi, difensore dell’imputato, facendo intendere che il passaggio successivo sarà quello di fare istanza di appello. I fatti addebitati ad Alessandro Governo, oggi dirigente di un supermercato della stessa catena a Verona, sono relativi a episodi denunciati dalla dipendente – che lavorava part time come cassiera ma anche a sistemare la merce sulle scansie e ad altre mansioni – nell’estate del 2015.
Stando a quello che la donna, oggi 29enne, ha raccontato il direttore l’avrebbe in più occasioni molestata con frasi pesanti, in un’occasione le avrebbe dato un piccolo morso e in un’altra ancora, lungo una corsia del supermercato, le avrebbe toccato il sedere. «Un gesto goliardico» avrebbe riferito al tempo l’imputato che ieri in aula invece ha cambiato versione: «Le ho toccato un fianco per invitarla a sollevarsi, bisogna piegare le ginocchia e non la schiena, è una questione di sicurezza sul lavoro». Un interpretazione ritoccata dal difensore che nel corso della sua arringa ha parlato di «buffetto su un fianco».
Al termine della sua requisitoria il pubblico ministero ha chiesto per l’imputato una condanna a tre anni di reclusione. «La vittima è credibile – ha sottolineato il rappresentante dell’accusa – il suo racconto, reso in più occasioni e a soggetti diversi, appare coerente. E poi almeno una collega di lavoro aveva raccolto sue confidenze di un «disagio sopportato a fatica». «Ci sta provando con me» avrebbe inoltre riferito.
Per il difensore la narrazione dei fatti della giovane appare invece superficiale e contraddittorio: «In tre diversi racconti dice che c’è un testimone, poi che ce ne sono due, e infine che i testimoni sono in un’altra corsia». Poi l’affondo: «La signora che accusa il mio cliente in precedenza aveva denunciato un altro dirigente per un fatto analogo. Era finito tutto in un’assoluzione. Perché l’aveva fatto? Era stata licenziata».
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