MANTOVA. Sempre meno antibiotici negli allevamenti, passi avanti nel benessere animale, un sistema di controlli che gran parte dei Paesi europei ci invidiano. È la fotografia scattata dai veterinari dell’Ats proprio nei giorni in cui, per le stalle, arriva una piccola rivoluzione: la ricetta veterinaria elettronica. Che, con l’invio dei dati all’azienda sanitaria, consentirà di stabilire con precisione le quantità di medicinali utilizzati. Già ora si possono fare, però, delle stime. E la tendenza ha segno meno.
La filiera più sensibile all’argomento è quella avicola, che negli ultimi quattro anni ha ridotto l’uso degli antibiotici di oltre l’80%. Dalla loro hanno, però, due vantaggi non trascurabili: la durata limitata della vita media degli animali e la concentrazione degli allevamenti nelle mani di poche grandi aziende. «Il calo sta interessando, però, anche i suini, anche se con percentuali diverse, e gli altri animali» spiega Carlo Rusconi, direttore del Servizio igiene degli allevamenti dell’Ats Valpadana.
Il calo si spiega anche con l’aumento del benessere dei capi allevati. La densità è uno degli aspetti, ma un buon contributo in questo senso lo danno la qualità degli alimenti e persino la qualità dell’aria. «L’antibiotico – prosegue Rusconi – non deve coprire carenze in altri campi. In un allevamento con un suino ogni dieci metri quadrati ho un rischio inferiore di malattia rispetto a un’azienda con un suino per metro quadrato». Gli allevamenti italiani, e quelli della Pianura Padana in particolare, sono, in media, piuttosto affollati. Considerazione che spiegherebbe i dati europei sull’uso di questi medicinali: l’Italia sarebbe il terzo maggior consumatore in Europa. «Si tratta, però, di un dato sulle vendite delle case farmaceutiche e non sui consumi – commenta Rusconi – e un farmaco può essere acquistato in Italia e consumato altrove».
Anche nel caso, però, di animali curati con antibiotici (per i quali sono previsti i tempi di sospensione per smaltirli prima dell’abbattimento) non esistono rischi per l’uomo. «Il residuo di medicinale negli alimenti è molto sotto controllo. Per legge è vietato commercializzare prodotti che abbiano una quantità di antibiotico superiore a un limite massimo residuale». Il fenomeno, molto temuto, della resistenza all’antibiotico «è dovuto, piuttosto, all’utilizzo diffuso di queste molecole, anche in percentuali molto basse, sul territorio. Per esempio nella cura degli animali domestici». «La resistenza esiste da sempre – aggiunge Rusconi – ma in passato veniva scoperta una molecola nuova all’anno. Adesso si fa meno ricerca e si scoprono meno molecole».
Diverso è il caso degli estrogeni: «Sono proprio vietati e non può entrare in Italia carne prodotta all’estero che ne contenga. Rimane il fatto che se sono stati somministrati estrogeni a un animale sei mesi fa, la carne ne è priva e dai campionamenti, ovviamente, non emerge».