Mantova, il Comune all'assessore regionale Bolognini: «Alloggi Aler vuoti? Dateceli, li sistemiamo noi»
La provocazione del sindaco Mattia Palazzi sulla richiesta di case popolari: «Centinaia di appartamenti da sistemare. Che fa l’ex Iacp?»
Nicola Corradini MANTOVA. «C’è un patrimonio di alloggi popolari da mettere a posto e Aler non lo fa. Dateli a noi, li sistemiamo e li rimettiamo nelle disponibilità di centinaia di persone in attesa di un appartamento». Lo ha detto il sindaco Mattia Palazzi all’assessore regionale agli affari sociali, alla casa e alla disabilità, Stefano Bolognini, nel corso di un incontro con i sindaci dei comuni che fanno parte del territorio di competenza dell’Ats Valpadana.
Un vertice per fare il punto sulle problematicità in questi campi di intervento decisamente complessi, visto che hanno a che fare con le fasce sociali più deboli.
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L’intervento di Palazzi è sembrato più una provocazione che non una reale richiesta di ricevere dalle mani dell’Aler gli alloggi da sistemare (riattare è il termine tecnico utilizzato) per dare una risposta alle domande di alloggi a canone ridotto. Un modo per sollevare un problema reale, che Aler negli ultimi anni ha in verità affrontato anche se con disponibilità di risorse non sufficienti per risolverlo. I costi sono molto elevati.
Al suo saluto di fine mandato, nel settembre scorso, l’allora presidente dell’Aler di Brescia, Mantova e Cremona, Ettore Isacchini (affiancato dall’allora responsabile della sede di viale Risorgimento, Vanni Spazzini, ora in pensione) spiegò che gli alloggi da sistemare sono circa 500. Nella quasi totalità dei casi occorrono interventi con costi compresi tra i 20mila e i 30mila euro. Nel triennio 2016-2018 sono stati messi in sesto da Aler 300 alloggi con una spesa di 9 milioni. Ma sono diverse centinaia, tra famiglie e single, a essere in lista d’attesa per un alloggio.
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«Abbiamo anche parlato della legge regionale che ha modificato gli accessi alle graduatorie per gli alloggi - spiega l’assessore al welfare Andrea Caprini - ma che ancora non è stata applicata. L’ideale sarebbe non farlo a cavallo di elezioni che riguardano la metà dei Comuni».
Caprini spiega che i sindaci hanno affrontato, tra gli altri, il tema del la transizione dal reddito di inclusione a quello di cittadinanza.
«Vogliamo capire come concretamente funzionerà - dice Caprini - fino ad oggi il tutto è stato gestito dai servizi sociali dei Comuni, che facevano colloqui e valutazioni sui singoli casi. Ora cambierà tutto, perché le richieste verranno fatte dall’ufficio postale e poi saranno i centri per l’impiego a valutare. Ci chiediamo se i centri dell’impiego abbiano le competenze e le figure necessarie per stabilire se i richiedenti rientrino o meno nel campo dei servizi sociali. Perché questo è un lavoro per assistenti sociali. L’argomento è stato sollevato con vigore dal sindaco di Cremona, Galimberti».
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