Appello dei sindacati ai calzifici dell'Alto Mantovano: «Fate squadra contro la crisi»
Tra ammortizzatori sociali e fallimenti il settore rischia un altro anno in affanno. Cgil, Cisl e Uil avvertono: «La stagnazione si sta ripercuotendo su tutta la filiera»
Monica VivianiMANTOVA. Siamo al punto di non ritorno: o si investe in una strategia di distretto e si fa gioco di squadra per ripensare da capo a un comparto in agonia o per il settore calza dell’Alto Mantovano rischia di non esserci prospettiva. L’allarme arriva ancora una volta dai sindacati all’indomani delle ultime notizie su contratti di solidarietà e fallimenti. «Ormai passiamo le nostre giornate a sottoscrivere ammortizzatori sociali e la situazione sta peggiorando»: quello lanciato da Michele Orezzi, segretario Filctem Cgil, Giovanni Pelizzoni, segretario Uiltec Uil, e Adolfo Feudatari, segretario Femca Cisl, è un appello a istituzioni, parlamentari ma soprattutto alle aziende.
Il dato di fatto è che la calza, intesa come collant, vende sempre meno: il secondo semestre 2018 è andato peggio del primo e l’inizio del 2019 prosegue sulla stessa strada. «E le motivazioni - spiega Orezzi - vanno dal clima sempre più caldo ai nuovi materiali utilizzati per i pantaloni, alle mode che vedono il collant indossato solo per alcune occasioni oltre alla stagnazione economica e ai consumi fermi. Una crisi che sta mettendo in discussione l’intera filiera: dai produttori di filati sino alle piccole aziende artigiane che lavorano per i colossi». Il comparto sta vivendo «un’evoluzione della crisi - aggiunge Pelizzoni - con caratteristiche ancora più negative. Se nel 2000 le delocalizzazioni portarono a una crisi occupazionale ma non del settore, nel 2008 si è trattato di una crisi generalizzata con il nostro Paese più in difficoltà di altri, adesso è una crisi legata al prodotto ed è mondiale, per questo è più negativa del passato». E anche Feudatari conferma che «dall’autunno scorso ad oggi la situazione è andata precipitando, siamo tornati alla stagione vissuta a partire dal 2008 ed è come le influenze di ritorno che colpiscono un corpo già debilitato».
Le cure a disposizione non sono molte: «Anche diversificare sull’intimo, come qualcuno ha fatto, non basta più - prosegue Orezzi - bisogna capire che non ha più senso farsi concorrenza ma serve una strategia di distretto, e che la partita non può essere giocata con la competizione sui prezzi. Le aziende devono ripensare a se stesse ma non da sole». Un punto su cui spinge anche Pelizzoni è proprio questo: «I costumi sono cambiati, serve innovare, puntare a nuove tecnologie, implementare prodotti di moda come quelli ecosostenibili, ma il comparto deve ripensare a se stesso facendo sinergia tra aziende cosa che in altri ambiti del sistema moda sta accadendo, altrimenti avremo solo palliativi. Già ora la situazione occupazionale è grave, gli ammortizzatori sociali danno respiro ma non possono essere una strategia di lungo termine. Serve una strategia comune per aggregare idee e progetti che portino ossigeno al settore».
«Il problema è che manca un’idea da cui partire - conclude Feudatari - occorre un progetto di sviluppo, se perdiamo anche il fatturato della prossima stagione questo distretto rischia di ridursi ai minimi termini. Ci aspettiamo che la politica nazionale batta un colpo e in particolare i nostri parlamentari: è arrivato il momento di rimettere in piedi qualcosa per il futuro prima che uno dei volani industriali del nostro territorio affondi».
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