Yaya, Keita e gli altri: «Niente elemosina. Chiediamo strumenti»
Con il decreto Sicurezza a rischio 200 posti per i profughi. L’appello dello Sportello diritti: «Inclusione dal basso»
Matteo SbarbadaMANTOVA. Una lettera alla Prefettura, corredata da una raccolta firme e sostenuta il giorno della consegna da un presidio in via Principe Amedeo. Lo Sportello diritti di Mantova ha chiamato a raccolta mercoledì sera all’Arci Salardi, richiedenti asilo, operatori dell’accoglienza e comuni cittadini. Obiettivo, sensibilizzare la comunità sul tema dell’immigrazione e creare una rete di mutuo soccorso.
Al centro della discussione, la nuova legge sulla sicurezza e il nuovo bando della Prefettura di Mantova sui centri di accoglienza. «Un grave problema – hanno spiegato gli organizzatori – Oltre al drastico taglio delle risorse, non saranno più obbligatori, e di conseguenza molto spesso non saranno fatti, l’avviamento al lavoro e l’insegnamento dell’italiano. Metà operatori perderà il posto. Da sistema per creare inclusione si passerà a semplice sorveglianza e controllo. I primi segnali sono già in atto. Le revoche dell’accoglienza da parte della Prefettura sono in aumento, ben 80 nell’ultima settimana».
Ragionamenti resi concreti dalle testimonianze dei richiedenti asilo presenti alla serata. Keita, Sheik, Clarice, raccontano un passato che vogliono solo dimenticare e parlano di un futuro per loro pieno di incognite. «Non siamo cattivi – ripetono – vogliamo partecipare allo sviluppo di questa città, che ringraziamo, socializzare con i cittadini, lavorare. Il tutto rispettando le leggi e facendo il nostro dovere». «Ci sono persone accolte in centri che nei prossimi mesi chiuderanno – prosegue Lorenzo di Sportello diritti – Si tratta di 200 persone, solo nel Mantovano, che saranno trasferiti chissà dove. Per questo vogliamo scrivere alla Prefettura o ottenere un incontro. Vogliamo conoscere il loro destino».
Diverse le proposte avanzate dalla platea dei presenti per accendere i riflettori sul tema. Dalla volontà di aprire un dialogo con le parrocchie alla realizzazione di momenti di incontro tra i richiedenti asilo e la comunità. «Dobbiamo creare inclusione sociale dal basso – spiegano gli operatori – tramite i cittadini. I centri di accoglienza rischiano di diventare sempre di più centri di esclusione sociale. Vogliamo aprirci verso la cittadinanza. Sappiamo che ci sono tante persone che vogliono dire no ad un certo tipo di pensiero».
Yaya è nel nostro Paese da diversi anni e ora lavora come operatore. «Tutto quello che so fare, l’ho imparato qui. Mi sento mantovano. I ragazzi ospiti nei centri parlano italiano perché lo hanno imparato qui a Mantova, grazie ai percorsi per l’autonomia, non a Lampedusa. Chiediamo che questa strada prosegua in questa città alla quale noi tutti dobbiamo molto. Nessuno vuole l’elemosina, vogliamo strumenti. Il razzismo è un prodotto che certi politici cercano di vendere. Non accettatelo».
I commenti dei lettori