Folla per la Liberazione a Mantova: ma "Bella ciao" non si può cantare
Tutti si attendevano il canto simbolo della Resistenza. Il presidente dell’Anpi: «La prefettura la considera un brano divisivo e così è stato eliminato dal programma»
Sandro Mortari
MANTOVA. Nel giorno in cui la gente affolla come da tempo non si ricordava i giardini di viale Piave per festeggiare l’anniversario della liberazione dal nazi-fascismo, e sembra aver riscoperto il valore del 25 Aprile 1945 come tappa fondamentale verso la libertà e la democrazia, le note di "Bella ciao", canzone simbolo della resistenza partigiana, non risuonano nell’aria.
Erano attese, come sempre, alla fine della cerimonia, fuori dal protocollo ufficiale: a diffonderle, di solito o ci pensavano gli strumenti dei giovani della sinistra oppure gli altoparlanti dell’organizzazione. Questa volta proprio non c’è stata. Cancellata. I giovani antagonisti avevano scelto di partecipare solo al loro corteo organizzato in contemporanea con la celebrazione istituzionale, mentre l’impianto di amplificazione è stato spento appena finita la cerimonia, qualcuno dice mentre l’addetto stava inserendo il nastro con la canzone partigiana, ignaro delle nuove disposizioni. Fatto sta che la gente (rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma con i labari, scout laici e semplici cittadini) ha lasciato i giardini delusa: con l’inno di Mameli, la canzone del Piave e il silenzio fuori ordinanza, Bella ciao l’avrebbe ascoltata e canticchiata volentieri.
L’Anpi, l’associazione dei partigiani, non fa polemica ma attraverso il suo presidente Luigi Benevelli, non nasconde il disappunto: «Bella ciao è stata considerata dalla prefettura un canto divisivo e perciò, nelle riunioni in cui è stato messo a punto il programma ufficiale del 25 Aprile, è stato deciso di non suonarla. Tutti gli anni è così, ma questa volta la prefettura è stata più severa del solito. Una decisione legittima, ma su cui io non sono d’accordo». Per la prima volta in scaletta è stata inserita la preghiera del Ribelle per amore, scritta nel 1944 dal partigiano Teresio Olivelli durante la prigionia in una lager nazista. «Signore, facci liberi...». A recitarla è stata una esponente di Amnesty international. Ai tanti è parso uno scambio con Bella ciao, ma Benevelli lo ha escluso categoricamente.
Sul caso il prefetto Carolina Bellantoni non ha voluto commentare, limitandosi ad un «io non ho vietato nulla», mentre il sindaco Mattia Palazzi preferisce ricordare che «la cerimonia ha un preciso protocollo concordato con tutti». Un 25 Aprile polemico lo è stato anche nella sua propaggine alla sinagoga, dove ogni anno vengono ricordati i deportati mantovani ebrei nei lager e le istituzioni si inchinano alla loro memoria. Il presidente della comunità ebraica Emanuele Colorni attacca: «Spiace e preoccupa che qualche nostro governante ricco di verbosità e povero di sensibilità abbia deciso di non partecipare a queste celebrazioni che sento come rispetto per chi è stato vittima del nazifascismo».
Non lo nomina, ma il riferimento è al ministro dell’interno Matteo Salvini che ha scelto di non partecipare alle cerimonie per il 25 Aprile. In sinagoga, tra il pubblico, c’è però il deputato leghista mantovano Andrea Dara (che era stato anche al Famedio), mentre in viale Piave, tra le autorità, era presente il sottosegretario all’interno Luigi Gaetti dei Cinque Stelle. Quasi a voler far capire che il governo giallo-verde sa quali valori difendere e rappresentare.
Colorni vira sui protagonisti ebrei della Resistenza, «2mila persone, mille come partigiani e altrettanti come patrioti» ricorda, a cominciare dal più giovane, Franco Cesana, nemmeno 13 anni, mantovano, trucidato dai nazisti nel Bolognese; e poi la Brigata ebraica, «protagonista di varie azioni di guerra lungo la linea Gotica». Commovente la lettura dei 99 nomi degli ebrei mantovani deportati nei lager, su 104, e mai tornati.
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