Disegna modelli per il cinema: «Ecco come creo i miei robot giapponesi»
Luca Zampriolo progetta e realizza sculture di prototipi di fantascienza. Ogni kit contiene fino a 250 pezzi. Collabora con Dreamworks e Netflix
Matteo Sbarbada
MANTOVA. «Da piccolo guardavo i cartoni animati giapponesi con spirito critico. Mi chiedevo come quei robot potessero fare determinati movimenti o piegare le ginocchia. In quegli anni è nata la passione che ora è al centro del mio lavoro».
Luca Zampriolo, 43enne di Valletta Paiolo, è stato tra i precursori in Italia del Mecha Design, settore incentrato sulla progettazione e realizzazione di sculture di prototipi di fantascienza come robot, astronavi e veicoli, finalizzati alla produzione di kit in resina. Un lavoro che lo occupa in varie direzioni. In primo luogo con Kallamity, il suo laboratorio nato nel 2006. Per arrivare al pezzo finito, sono necessari molteplici passaggi. Dagli schizzi preparatori alla progettazione del prototipo fino alla realizzazione della scultura. Una volta terminato, il prototipo viene inviato a ditte specializzate che si occupano della replica delle parti. Ricevuti i pezzi, viene verificato l'assemblaggio e si dà il via alla produzione.
Il tutto occupandosi nel frattempo di packaging, simbolo, marchi, scritte e istruzioni di montaggio. Un singolo kit è composto da 40 a 250 pezzi a seconda del tipo di soggetti. I mecha, o robot, con vari punti di articolazione hanno generalmente più pezzi di quelli a posa fissa o di astronavi o veicoli in generale. I modelli sono realizzati in varie scale e con diverse grandezze, con una misura classica compresa tra i 6 e i 30 centimetri di altezza. Realizza anche soggetti unici, sculture ad un solo esemplare, spesso utilizzando scarti di produzione di precedenti kit creando soggetti originali. Zampriolo li promuove nelle più importanti convention di fumetti, modellismo e design al mondo, come il Wonder Festival di Tokyo e il ComiCon di San Diego.
«Frequento Lucca Comics da almeno trent'anni, fin da ragazzino. Sono invitato come giudice per i contest di Mecha Design. Tengo anche workshop e masterclass. Mi invitano nelle scuole del fumetto e di design per tenere lezioni sul mio lavoro». Al progetto Kallamity, Zampriolo affianca un impegno da artista freelance per ditte di modelli o action figures, aziende per cui realizza loghi e ditte di abbigliamento. Negli ultimi anni ha creato disegni e prototipi per case di produzione e animazione.
Per Dreamworks Animation e Netflix ha dato vita ai concept per i protagonisti della serie animata Dinotrux e ha collaborato con Rackham, Heavy Gear e Paolo Parente per la serie Dust. Tra le collaborazioni nel mondo dell'animazione vanno annoverate Octobor Animation, Toei Animation e Mango Tv. «In molti possono pensare che nei film di animazione sia il computer a fare tutto, a creare il soggetto. Invece c'è qualcuno che li inventa e li disegna, realizzando la versione ufficiale. Solo in un secondo tempo il personaggio viene rimodellato in 3D». Per altri progetti ha lavorato per Sideshow Collectibles, Prada, Wired Magazine, Mecha Workshop e Iveco. Una passione nata sui banchi del liceo linguistico, che riempiva di disegni, poi cresciuta all'Accademia delle Belle Arti di Bologna. «Anche se mi considero un autodidatta» aggiunge. «Mi regalavano i mattoncini ma non costruivo mai quello che era riprodotto sulla scatola. Li mischiavo e creavo astronavi ispirandomi a Blade Runner. Leggevo i fumetti ma non li riproducevo, cercavo di modificarli.
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