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L’appello del prof che racconta l’Olocausto: «Una sede per il Memoriale della Shoah mantovana»

Dall’8 al 16 settembre Andrea Ranzato sarà allo Yad Vashem di Gerusalemme insieme ad altri 19 docenti italiani

Igor Cipollina
2 minuti di lettura

MANTOVA. Soffia una brutta aria sull’orizzonte livido dei nostri giorni, che percorriamo a testa bassa, sotto il peso di rabbie e paure più grandi di noi. Curvati da un egoismo di cui un tempo ci si sarebbe vergognati, ma che oggi è diventato una bandiera. «C’è qualcosa di malato – conferma Andrea Ranzato, prof di lettere al liceo d’Este e consigliere dell’associazione di cultura ebraica Man Tovà – Si sta tornando indietro nella capacità d’ascolto dell’altro. Si è sempre più incapaci di cogliere il punto di vista altrui, ci si chiude in una sorta di egotismo, e di queste dinamiche ci sono sintomi identificabili. I discorsi dei miei studenti attuali sono diversi da quelli dei loro compagni di cinque anni fa. Stando così le cose, certe occasioni non possono essere perse, vanno utilizzate per sollecitare una riflessione che dal passato arrivi al presente».

Il riferimento è al Giorno della Memoria, che ogni anno, per legge, dovrebbe alimentare il ricordo delle vittime dell’Olocausto. Il punto è come evitare che la commemorazione deragli in retorica, scivolando addosso alla coscienza intermittente dei ragazzi di oggi. Traducendo la questione in una domanda: come interessare gli studenti al tema della Shoah in un’epoca che sembra celebrare l’istante e bruciare il presente prima ancora che si cristallizzi in passato? Ranzato è il prof giusto per offrire una risposta e declinare l’esempio del d’Arco-d’Este, che da quattro anni allestisce il Memoriale della Shoah mantovana.

Ad attestarne la sensibilità sul tema, se mai ce ne fosse bisogno, anche il riconoscimento del ministero dell’Istruzione che l’ha voluto tra i 20 insegnanti italiani (uno per ogni regione) che dall’8 al 16 settembre parteciperanno al seminario di formazione sull’insegnamento della Shoah allo Yad Vashem di Gerusalemme. Anche se Ranzato si fa scudo del suo pudore: «Ci sono tanti altri colleghi al Virgilio, al Belfiore, al conservatorio che vivono con grande sensibilità e intelligenza il Giorno della Memoria per far crescere gli studenti».

Eccola l’occasione da cogliere: «Il Giorno della Memoria non può bruciarsi in un solo giorno, e gli studenti non possono esserne semplici spettatori, vanno messi a contatto con la memoria e a confronto con i volti e i nomi, con le identità reali – scandisce il prof – Parlare di 6 milioni di vittime vuol dire parlare di un cifra astratta, che dice poco, ma quando coinvolgi i ragazzi in un lavoro sul campo, in archivio, e li fai riflettere, allora il lavoro acquista tutto un altro spessore». La commemorazione si traduce così in uno scavo, quasi una missione, sulle tracce di persone alle quali va restituita l’identità mutilata dalla ferocia.

Naturalmente un lavoro di questo tipo esige tempo e passione, non lo si può improvvisare né comprimere nella sola data del 27 gennaio. È da questa impostazione che è nato il Memoriale della Shoah mantovana, cresciuto attorno alle vicende dei tre studenti Mara Coen, Renzo Finzi e Lidia Tedeschi e della professoressa Bianca Ottolenghi cacciati dal regio istituto magistrale d’Este nel 1938 per effetto delle «leggi razziste, perché questo furono, non razziali». Eccola la chiave del coinvolgimento, non ci sono più i 6 milioni di vittime che sbalordiscono in astratto, ma tre ragazzi e una prof di cui l’archivio scolastico conserva traccia.

«La ricerca prendeva lo spunto dalla voglia di capire cosa era successo a Mantova, nella nostra scuola, durante il periodo delle leggi razziste» riassume Ranzato, poi il campo d’indagine si è allargato fino ad assumere la fisionomia di un’installazione articolata in sei parti: il labirinto che ricorda i 104 deportati mantovani; i luoghi della Shoah mantovana; le legge razziali e le vite che hanno spezzato; le foto e la registrazione dei nomi dei 6.806 italiani deportati nei campi di concentramento; un video con le testimonianze degli ex bambini nascosti; infine un video che illustra la fonte d’ispirazione del memoriale, lo Yad Vashem di Gerusalemme.

Allestita ogni anno al d’Arco, ogni anno l’installazione viene smontata. In coda arriva quindi un appello: «Diamo una sede permanente al Memoriale della Shoah mantovana». La memoria cerca casa.

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