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«Vado a trovare gli amici a Roma»: la fuga dello yemenita da Ostiglia

Il 23enne arrestato a Milano dopo l’aggressione al militare assegnato per caso nel Mantovano dove è rimasto due mesi

Rossella Canadè
2 minuti di lettura

OSTIGLIA. Una mina vagante, ostaggio più della sua disperazione che di una precisa strategia militare terroristica. Sembra questa, al momento, la ricostruzione più verisimile, secondo gli inquirenti, della figura di Mahamad Fathe, lo yemenita di 23 anni che ha ferito un militare alla stazione Centrale di Milano gridando “Allah akbar”, mentre i carabinieri gli mettevano le manette ai polsi.

Due anni di fuga, dal suo paese in guerra, all’inferno della Libia, fino a Ostiglia, accolto a luglio dalla cooperativa Alce nero all’hotel California, in attesa che venisse vagliata la sua richiesta di asilo politico. Da Ostiglia è partito il 12 settembre, con il pretesto di andare a trovare degli amici a Roma. Aveva nostalgia di qualcuno che parlasse la sua lingua e sarebbe dovuto tornare dopo tre giorni. Invece è sparito, per poi ricomparire nella notte tra lunedì 16 e martedì 17 a Milano.

Il delirio sulla tettoia all’ingresso della Caritas, con una penna brandita come un’arma. E il pericoloso terrorista si arrende davanti al getto dello spray urticante dei carabinieri. Sembra un fuori di testa, più che un martire in nome di Allah. Risulta incensurato, quindi viene lasciato al suo destino. Nove ore dopo, però, con un paio di forbici, l’aggressione in stazione. E l’arresto per violenza a pubblico ufficiale, tentato omicidio con l’aggravante del terrorismo. «Non avevo più un soldo, né da mangiare e ho scelto di morire, pensando che mi avrebbero ucciso e di guadagnarmi almeno il paradiso».

Ma non ci sono segnalazioni a suo carico. Era monitorato da Digos e forze dell’ordine come tutti i profughi provenienti da paesi in guerra. Lo conferma il questore di Mantova, Paolo Sartori: «Queste posizioni vengono valutate dalla Commissione di Brescia, né questore né prefetto hanno voce in capitolo».

Ma come è arrivato a Ostiglia? Per caso. Bisogna fare un passo indietro, al 27 dicembre del 2017 quando Fathe arriva in Italia attraverso un canale umanitario, con un volo militare che atterra a Roma. Viene mandato subito a Bergamo dove inoltra la richiesta di asilo politico. Parte l’iter, che di solito si conclude in qualche mese. Lui però dopo poco tempo si dilegua, per ricomparire in Germania, dove, dopo un anno passato a vendere abiti ufficialmente e droga di nascosto, chiede asilo politico. Anche qui.

E toppa alla grande: perché ai tedeschi basta un controllo al pc per capire che la stessa richiesta l’ha già fatta all’Italia, da cui non sarebbe nemmeno potuto uscire. Le sue frequentazioni con ambienti vicini al radicalismo islamico non passano inosservate. A Monaco, il 12 luglio di quest’anno, viene imbarcato su un aereo diretto a Malpensa. Atterra e chiede subito, di nuovo, asilo politico all’Italia, dove, così risulta fino a questo momento, non arriva traccia del “monitoraggio” dei tedeschi. Il nome di Fathe è pulito. A Milano la polizia di frontiera verifica le possibilità di accoglienza. Il posto libero più vicino è Ostiglia, paese di cui Fathe nemmeno conosceva l’esistenza sulla carta geografica.

Viene ospitato all’hotel California, che collabora con la cooperativa Alce nero, operatrice per la gestione dei migranti in tutta la provincia. Su di lui nemmeno una parola: «I responsabili non intendono rilasciare dichiarazioni» risponde una sedicente segretaria della coop, «e io non conosco nemmeno i nomi dei profughi». Il suo nome invece lo conoscono in questura, dove, dopo l’interrogatorio di rito, formalizza la richiesta di asilo. Prima di sparire il 12 settembre, senza nemmeno andare a ritirare il permesso di soggiorno provvisorio.

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