Da Bronx sordido a quartiere pieno d’arte: Guzzanti e Lunetta fanno pace dopo 33 anni
Il giornalista ricorda come nacque l’articolo che indignò i residenti. E rivendica: «Se oggi la comunità è cambiata, è un po’ merito mio»
Giovanni Zerbato
MANTOVA. «Ma, cammina cammina fra salumerie e opifici, finisce che arrivi al “Bronx” mantovano. Non che sia proprio Terzo Mondo, ma è un quartieraccio squallido, sordido, infelice e scrostato. Sono le case della "Lunetta": qui vivono gli alieni, i matti, i vecchi senza nessuno, i giovani incattiviti, gli emigrati delusi». Era il 1986 e così Paolo Guzzanti descriveva, dalle colonne di Repubblica, il quartiere di Lunetta. Aprendo una ferita che ancora brucia nell’orgoglio dei residenti, e facendo all’epoca del giornalista un soggetto indesiderato anche nel salotto buono della città, raccontata attraverso l’ansia di riscatto della nuova borghesia, diventata ricca «a forza di tirare su maiali».
Tornato a Lunetta trentatré anni dopo, Guzzanti trova ad attenderlo la piccola folla che riempie la biblioteca Papillon. L’occasione è un evento inserito nel programma di Fattidicultura, che sollecita una riflessione sul potere della parole di orientare la percezione della realtà e sulla comunità che cambia. Riflessione estesa anche al fotografo Angelo Camilleri, impegnato in un lavoro di ricerca a partire dalle persone e dai volti che abitano il quartiere, a Chiara Mortari, referente del corso di laurea per educatore professionale avviato a Lunetta, a don Alessandro Franzoni, autore del libro “Altro che Bronx!”, e a tre artisti/promotori/autori biellesi, incalzati dalle domande del giornalista della Gazzetta Igor Cipollina.
A Olimpia Medici e Andrea Dalla Fontana è stato messo in mano un archivio largo più di trent’anni di articoli, tutti raccolti dai volontari della biblioteca: i due – marito e moglie – ci hanno costruito un progetto grafico, a partire da un’idea di Irene Finiguerra. Nel corso degli anni sul quartiere di Lunetta sono stati riversati fiumi di inchiostro, parole, titoli e articoli, ostili e benevoli. Ogni ospite tratteggia la “sua” Lunetta, attraverso le emozioni sperimentare e sedimentate.
Nel raccontare le circostanze in cui l’articolo nacque, Guzzanti parla inevitabilmente anche di giornalismo e di parole: «La verità oggi non esiste più, è liquida e ti bagna la mano, ma non riesci ad afferrarla». L’obiettivo di un giornalista – argomenta – dev’essere quello di raccontare la realtà per ciò che è, senza edulcorarla, e se all’aderenza al vero aggiungi l’ingenuità, intesa come mancanza di pregiudizi, ecco allora che scrivi tratteggiando il mondo con le parole della gente.
«Ho girato per le vie di Mantova e ho bevuto i pettegolezzi delle persone» ricorda Guzzanti. Che Lunetta fosse un quartiere complesso e difficile, è innegabile. Ma, rivendica il giornalista, se gli effetti della sua ingenuità hanno prodotto scalpore e messo in moto il riscatto del quartiere, oggi pieno d’arte, vite e persone, allora c’è da andarne orgogliosi.
Ciò che invece non deve stupire è «vedere bambini di ogni etnia giocare assieme, perché la multiculturalità è un dato di fatto e nulla di nuovo. Però quello che di Lunetta sorprende è che qui i bambini giochino ancora per le strade». Date le premesse, se questo è il risultato, allora il progresso non fa così paura. Allora il futuro non è così spaventoso: «Vedendo com’è Lunetta oggi e capendo com’è cambiata, mi congratulo con me stesso» conclude, sorridente, Guzzanti. —
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