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Le dà della «paralitica rompi... »: e per l’hater scatta la querela

A innescare il dibattito su Facebook una foto di migranti in acqua. Tomirotti: «L’ignoranza del mezzo non può essere una scusante»

1 minuto di lettura
Valentina Tomirotti con Lella Costa sul palco dell'ultimo Festivaletteratura 

MANTOVA. Li chiamano “leoni da tastiera”, pensano di ruggire e invece pigolano, balbettano il loro odio. Sono pecore travestite da lupi, hanno denti di cartone e ignorano la misura della messinscena, del loro carnevale di livore. I denti sono sì di cartone, ma moltiplicati per le pecore del branco, che pascolano nelle piazze infinite dei social, possono fare male. E pure tanto. Insomma, l’ignoranza del mezzo non può valere come un attenuante, al contrario: è un’aggravante, una colpevole leggerezza. Per questo Valentina Tomirotti ha deciso di agire, di presentare querela nei confronti di una donna, amica di un’amica (nell’accezione lasca di Facebook) che, nell’onda montante di una conversazione sempre più aspra, ha sbroccato dandole della «paralitica».

Peggio, sollecitando l’amica comune a tenerla a bada, di dirle di «non rompere i coglioni con i suoi commenti», ché altrimenti sarebbe diventata «cattiva o nazista». A proposito, a innescare il dibattito era stata una foto con le teste di un gruppo di migranti che annaspano a pelo d’acqua. Dei puntini unendo i quali si ottengono dei futuri delinquenti, secondo un sentire troppo comune in Italia: «Guardateli bene e se, siete in grado, vergognatevi» scriveva l’amica di Valentina, quella più intima, sfidando l’ottusità dei razzisti di pancia. Quelli che sempre premettono «io non sono razzista, però... ». Insomma, il caso è denso, configura una superfetazione d’odio che butta nello stesso calderone i migranti e i paralitici.

Esperta di comunicazione, blogger, scrittrice e «giornalista a rotelle» (la definizione è sua), con coraggio e ironia Valentina Tomirotti è riuscita a fare della sua carrozzina un trono a un metro da terra, rovesciando così un limite in una visuale privilegiata da cui raccontare il mondo. Figurarsi se si lascia intimidire da qualche schizzo d’odio sui social. «In realtà ci ho pensato molto bene prima di mettere la mia firma sulla querela – racconta – Perché? È evidente che la persona in questione non conosce il mezzo. Però non conosce nemmeno le regole dello stare al mondo. Devi essere consapevole che il tuo odio ha quantomeno un cognome». Se insieme al ringhio ci metti pure la faccia, quella vera sotto la maschera da lupo, allora poi deve accettarne le conseguenze.

A convincere la Tomirotti ad agire è stata l’amica e avvocato Valentina Starinieri, che ha depositato la querela direttamente in procura. Nel mondo reale. —

Ig.Cip
 

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