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Per un’eredità assolda i mafiosi per pestare nipote e cognata

In manette la donna, un’assicuratrice di San Giorgio Con lei tutte le altre 8 persone coinvolte nel diabolico piano

Daniela Marchi
3 minuti di lettura



Un’eredità, la promessa dell’acquisto di un appartamento, ma con soldi insufficienti, sono le premesse e le ragioni che hanno messo in moto una spedizione punitiva ordita da una donna, Marta Magri, 56enne di Tripoli di San Giorgio, che non ha esitato ad assoldare nientemeno che esponenti della ’ndrangheta calabrese per dare una lezione a nipote e cognata e, se non spedirli al cimitero, almeno farli finire in ospedale per quattro o cinque mesi.

Un piano tanto diabolico quanto risoluto. E alla fine andato a buon fine, almeno nei confronti del nipote 45enne, massacrato di botte e spedito al Carlo Poma.

Ma occorre tornare all’inizio della storia per capirne l’evoluzione. Marta Magri, già nota alle forze dell’ordine per truffe e fallimenti e per la sua attività di assicuratrice oltre i limiti della legge, vive con marito e figlia in una villetta a Tripoli di San Giorgio. Era la casa di famiglia del marito, pensionato (che dagli elementi raccolti dai carabinieri risulterebbe estraneo ai traffici e al folle piano della moglie) e del fratello di lui. I due fratelli ne avevano ricavato altrettanti appartamenti, dove ci vivevano con le rispettive famiglie. Alla morte del cognato, la Magri ha proposto alla moglie e al figlio di lui, che nel frattempo si erano trasferiti a San Biagio di Bagnolo San Vito, di acquistare l’appartamento che avevano ereditato, per una cifra di 150mila euro. Ma il denaro, la donna non l’aveva. Non subito almeno, sperava forse di racimolarlo in qualche modo. Così, per tenere buoni i parenti e prendere tempo, ha pensato di assoldare delle persone, per farli picchiare a sangue, giusto qualche frattura che li mandasse in ospedale per mesi, dove non avrebbero avuto il modo di pensare troppo all’appartamento da vendere.

E così ha fatto. Grazie al nome che si era fatta nei traffici illeciti legati a intermediazioni, prestiti, fideiussioni, finanziarie, si è messa in contatto con un personaggio a lei noto, tale Antonio Loprete, 56 anni, calabrese, che la Dda definisce “organico alla cosca dei Bellocco”, al quale ha affidato l’incarico - in cambio di qualche migliaio di euro - di compiere l’aggressione ai danni dei due famigliari.

Loprete, però, era già nel mirino della Dda di Reggio Calabria, che stava lavorando ad un’articolata indagine a carico della cosca Bellocco. Quindi, dalle intercettazioni, i carabinieri del Ros hanno sentito chiaramente la mantovana dire a Loprete «me li devi togliere di mezzo per quattro, cinque mesi».

Dalla più ampia indagine, quindi, è stata stralciata una singola costola relativa proprio a questa vicenda legata al Mantovano, cui hanno partecipato i carabinieri del Ros insieme ai comandi provinciali Lombardia, con il Nucleo Investigativo di Mantova, Veneto, Calabria e anche la Guardia di Finanza di Brescia.

Raccontano i carabinieri, che Loprete, ricevuta la commissione, avesse inizialmente affidato l’incarico al nipote Francesco Corrao, il quale però, essendo stato arrestato (per un’altra vicenda) il 24 gennaio 2018, l’aveva costretto a cambiare i piani. Lo stesso Antonio Loprete, allora, insieme al figlio Giuseppe, 26 anni, nella stessa sera del 24 gennaio, è partito dalla Calabria alla volta di Bagnolo. Ma, grazie alle intercettazioni, la polizia giudiziaria reggina li ha fermati subito.

Fallito, dunque, il primo tentativo, la Magri non si è data per vinta ed ha riassegnato l’incarico - per un importo iniziale di tremila euro - ad altre sue conoscenze, tali Fabio Campagnaro, 49 anni e Alberto Reale, 42 anni, entrambi padovani, truffatori che gravitano nel mondo dei reati fiscali e finanziari. I carabinieri hanno documentato che il 7 febbraio 2018 i due avessero compiuto un sopralluogo intorno all’abitazione delle due potenziali vittime a San Biagio. Il pestaggio era previsto per il 14 marzo ma anche qui, grazie alle intercettazioni, questa volta concentrate sulla Magri, la polizia giudiziaria ha mandato all’aria i piani criminali.

Nel frattempo, visti i vari tentativi, il Comitato ordine e sicurezza provinciale, ha disposto di mettere madre e figlio sotto tutela, organizzando una vigilanza h24 delle forze dell’ordine intorno alla villetta di San Biagio.

Ma la Magri, troverà comunque il modo di aggirare l’ostacolo. Il 19 giugno 2018, infatti, improvvisamente e senza che gli investigatori, questa volta, riuscissero ad averne notizia, il nipote della Magri viene aggredito, dopo essere uscito da un tabaccaio di Governolo. Tre uomini gli si sono avvicinati e lo hannopreso a pugni, tanto da procurargli la frattura della mascella e spedirlo in maxillo facciale per un intervento di ricostruzione e due mesi di prognosi.

Le successive indagini hanno portato gli investigatori a raccogliere gravi indizi sulla responsabilità del pestaggio, a carico della Magri in qualità di mandante e a carico dei veneti Campagnaro, Reale e Roberto Bortolotto, 58 anni (che deteneva anche un’arma da fuoco illegale) come committenti che avevano “subaffittato” l’incarico a tre stranieri, il moldavo Gheorghe Lozovan, 43 anni e gli albanesi Eduard Keta, 35 anni e Keant Curri, 25 anni.

Ricostruita tutta la trama dei fatti, ieri - durante quella che la Direzione distrettuale antimafia di Brescia ha chiamato Operazione Hope - a carico di tutte le nove persone coinvolte nei fatti, sono stati emessi altrettanti fermi di reato (che si tramuteranno in arresti) per concorso in lesioni, aggravate dal metodo mafioso e lesioni gravissime (Loprete anche per il 416 bis, associazione di stampo mafioso). Sono tutti in carcere. —



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