Grana Padano, vola l’export. «Ma le Dop vanno tutelate»
La crisi economica e i dazi introdotti dagli Usa non hanno penalizzato i produttori Berni: per tutelare i consumatori i similari vanno separati sugli scaffali e nei menu
Sabrina Pinardi
CASTELNUOVO DEL GARDA. Segno più per la produzione e per l’export, in barba a dazi e imitazioni. Il 2019 del Grana Padano si chiude con una doppietta: sono state prodotte più di 5 milioni di forme (5.182.585) con un incremento, stimato per fine anno, pari al 5,06%, e l’export, con oltre 2 milioni di forme, fa registrare un +5,24% sul 2018. Più di un milione e mezzo (1.522.983) le forme prodotte nei 27 caseifici mantovani. Primo mercato estero rimane la Germania, con un totale previsto di 517.000 forme. I dati sono stati illustrati mercoledì 18 dicembre nell’assemblea generale di fine anno, che si è tenuta al Gardaland resort di Castelnuovo del Garda.
«Questa crescita - commenta il presidente del consorzio Nicola Cesare Baldrighi - assume un significato ancora più forte se pensiamo che negli ultimi dieci anni il trend positivo ha superato il 22,5%, con un incremento del 2% annuo. Tutto questo acquisisce ancor più valore se teniamo conto del contesto in cui il risultato è stato raggiunto. Da una parte il periodo di crisi generalizzata, in ogni settore, e dall’altra decisioni internazionali, prime fra tutti quelle dei dazi, che per un prodotto come il nostro sono penalizzanti. Oltre a questo, c’è la confusione che il consumatore si trova ad affrontare quando deve acquistare, a causa della mancanza di informazioni chiare nei punti vendita e nei menù della ristorazione».
All’assemblea ha partecipato, in videoconferenza, anche il ministro delle Politiche agricole Teresa Bellanova, che ha accennato al tema delle etichette a semaforo. «Lo abbiamo detto in Europa lunedì e voglio ribadirlo nuovamente qui oggi: non possiamo essere vittime di algoritmi nazionali. Come si può pensare che vicino al marchio Dop europeo sul Grana Padano poi si possa trovare il nutriscore che mette il semaforo arancione o rosso. È inaccettabile. – tuona il Ministro Bellanova - Vogliamo tutela piena e stiamo lavorando per un’alternativa come il sistema a batteria, che tiene in considerazione il fabbisogno quotidiano e non demonizza i singoli ingredienti. Oggi, ribadendo un concetto per noi determinante, si è detto che chi compra vuole sapere cosa mette nel piatto. Quindi anche sugli scaffali serve chiarezza».
«Ci fa molto piacere ascoltare queste parole perché sono in linea con quanto, da sempre, chiediamo alle istituzioni» commenta il direttore generale del consorzio, Stefano Berni. La proposta avanzata dal Consorzio è chiara: «Chiediamo un provvedimento che garantisca al consumatore di scegliere in modo consapevole cosa sta acquistando o consumando: sugli scaffali della grande distribuzione, i prodotti a denominazione d’origine dovrebbero essere sempre separati in modo inequivocabile dai rispettivi ‘similari’, così come nei menù dei ristoranti dovrebbe essere indicato in maniera ben evidente se vengono utilizzati prodotti a denominazione d’origine oppure omologhi differenti».
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