Figlio morto asfissiato, 14 anni al padre. L’accusa aveva chiesto l’ergastolo
I giudici della Corte d’Assise l’hanno ritenuto colpevole di omicidio colposo e non volontario e di incendio doloso
Giancarlo Oliani
MANTOVA. Quattordici anni di reclusione: è la condanna inflitta dai giudici della Corte d’Assise di Mantova a Gianfranco Zani, il 54enne accusato dell’omicidio del figlio Marco, morto per asfissia nella sua camera da letto. Ad ucciderlo il fumo sprigionatosi da un incendio appiccato dal padre nell’ex stanza coniugale. L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Carmela Sabatelli, sostenendo l’omicidio volontario aveva chiesto il massimo della pena: l’ergastolo, a cui la parte civile si è associata chiedendo una provvisionale immediatamente esecutiva di 500mila euro. La Corte d’Assise presieduta da Enzo Rosina, affiancato dalla collega Chiara Comunale e dai sei giudici popolari dopo tre ore di camera di consiglio ha riconosciuto Zani colpevole di incendio doloso e di omicidio colposo.
Nel corso dell’udienza, per la prima volta l’imputato ha voluto parlare, rilasciando spontanee dichiarazioni. Con la voce spesso rotta dal pianto ha cercato di riassumere il rapporto avuto con la moglie Silvia Fojotikova con la quale ha avuto tre figli. Ha raccontato di aver ceduto alla gelosia quando ha saputo che la moglie aveva una relazione. Ha raccontato che la donna gli rinfacciava di non adempiere ai suoi doveri coniugali e che telefonava all’amante anche davanti a lui, facendolo ulteriormente ingelosire. Non ha mai ammesso l’accaduto, oggi sì, definendolo tragico evento. Lasciato dalla prima moglie si è ritrovato nella stessa situazione.
«L’ho mantenuta 17 anni, non le ho fatto mancare nulla e ora sono io a non avere più nulla. Mi ha tolto tutto, ma quella casa è mia. Stavo malissimo, prendevo degli psicofarmaci mischiati all’alcol. Non ero più un uomo». Già processato e condannato per maltrattamenti, il giudice gli aveva ordinato di non avvicinarsi alla sua casa. Ma il 22 novembre 2018 l’ha fatto. È entrato in casa, è salito le scale e con la mente offuscata dalla rabbia e dalla gelosia ha appiccato il fuoco agli indumenti intimi della moglie. Poi la fuga.
Per l’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Carmela Sabatelli, Gianfranco Zani è colpevole di omicidio volontario. Quando ha appiccato l’incendio nella camera da letto matrimoniale, bruciando l’intimo, non può non aver visto le fiamme che subito dopo hanno invaso la stanza e il fumo intenso. Nonostante questo però è fuggito mettendo in salvo i cani ma - sostiene l’accusa - condannando a morte certa il figlio che forse poteva essere ancora salvato e che si trovava nella stanza accanto. Durissime le parole del pubblico ministero nei confronti dell’imputato. «Ha accettato il rischio che qualcuno potesse morire. Zani non si è affatto preoccupato che qualcuno fosse presente in casa e dopo aver appiccato il fuoco se n’è andato per andare in un bar a bere birra e mangiare patatine».
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Le porte della camera da letto della moglie e del figlio erano chiuse. Nell’interrogatorio reso al magistrato dopo l’arresto aveva sostenuto d’aver chiamato per nome i figli e che non aveva ricevuto risposta. Ma il pm e la parte civile sono convinti dell’esatto contrario. Ripercorrendo l’accaduto il pubblico ministero ha ricordato come quel gesto fosse già stato preannunciato. Ad alcuni conoscenti aveva detto: io non le lascio la casa, piuttosto la brucio.
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La figlia avuta dal primo matrimonio ha avuto parole di grande affetto per il padre: un padre buono e generoso e che per il distacco da Silvia Fojotikova aveva anche tentato più volte di suicidarsi.
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