«Giovane di buona famiglia»: così difendevano il molestatore
L’educatore è stato condannato per avere palpeggiato un minorenne all’oratorio. «Ma prete, ex sindaco e comunità lo protessero anziché far emergere il reato»
Giancarlo Oliani
MANTOVA. Nell’ottobre del 2019 il giudice per le indagini preliminari ha condannato un giovane educatore che, approfittando del suo ruolo, aveva molestato un dodicenne all’interno di un oratorio parrocchiale dell’Alto Mantovano. Un anno e dieci mesi la pena inflitta.
Ebbene, nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni della sentenza nelle quali il magistrato spiega in quale contesto è avvenuto il reato, ma soprattutto l’effetto che ha avuto sull’intera comunità che, nonostante la gravità del reato, ha fatto quadrato attorno al giovane molestatore.
L’educatore aveva palpeggiato il minorenne e in un’occasione gli aveva anche mostrato con il telefonino un video porno. Il ragazzino aveva raccontato tutto ai genitori che prima di denunciare il fatto ai carabinieri avevano cercato di capire se il figlio avesse detto la verità. Quello che è accaduto in seguito è spiegato in modo molto chiaro dal giudice che, dopo aver riconosciuto come assolutamente attendibili le dichiarazioni del minorenne e di sua madre, scrive: «Gli elementi acquisiti al processo hanno consentito di registrare più tentativi di influire sul minore al fine di evitare che la vicenda fosse portata all’attenzione dell’autorità giudiziaria, con rischio connesso dello “strepitus fori” (cioé il clamore in paese, ndr), posti in essere non solo dall’imputato e dai genitori ma anche da soggetti che, al contrario, avrebbero dovuto favorire l’emersione di un fatto così grave come le molestie sessuali a un dodicenne da parte di un educatore all’interno di un luogo frequentato da altri minori».
E aggiunge: «Il riferimento è fondamentalmente al parroco dell’oratorio. Il sacerdote, coinvolto dagli stessi genitori della persona offesa, ha cercato più volte di evitare che presentassero denuncia alle autorità, tentando di risolvere la questione bonariamente». In un incontro con i genitori della vittima, decisi a presentare denuncia, aveva detto: «Se proprio volete andate, ma io non avrei piacere».
Non solo: «L’attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi della difesa - scrive ancora il giudice - tutti facenti parte della ristretta comunità locale gravitante intorno alla parrocchia e all’oratorio - appare minata dal particolare contesto nel quale la vicenda è maturata». È emerso che l’imputato appartiene «a una delle famiglie più generose e più disponibili di tutto il paese. Famiglia stimata e punto di riferimento per tutta la comunità» come scrive l’ex sindaco di quel paese in una lettera esibita dalla difesa dell’imputato.
«È dunque evidente ed emerge dagli atti - aggiunge ancora il giudice - come l’intera comunità locale, pur non essendo a conoscenza dei fatti, si sia sin da subito schierata dalla parte dell’imputato, difendendolo a spada tratta, senza alcuna cognizione degli atti di causa, contro la parte offesa e la sua famiglia».
Il minorenne è stato più volte sentito e anche sottoposto a perizia per capire se le cose da lui dette fossero dettate da suggestione o rancore verso l’educatore. Circostanze che non si sono verificate. La sua versione dei fatti non è mai cambiata ed è sempre stata giudicata attendibile. Neanche quando si è trovato a ripetere l’accaduto davanti ai genitori dell’educatore.
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