Mantova, la carica delle aziende che non anticipano la cassa integrazione Covid
Molte imprese non disponibili, per i lavoratori percorso a ostacoli burocratico in banca. Orezzi (Filctem Cgil) accusa: «Hanno tutti fretta di riaprire ma non di difendere i salari»
Monica VivianiMANTOVA, Aziende che chiedono gli ammortizzatori sociali previsti per l’emergenza Covid, ma che poi quando si tratta di anticipare i soldi ai lavoratori non se ne parla. Così, in attesa che l’Inps provveda, a operai e impiegati di fabbriche più o meno ferme, resta un’unica possibilità per portare a casa una parvenza di busta paga e far fronte a bollette, mutui, spesa da mettere in tavola: bussare alla porta della propria banca, sempre che sia tra quelle (e non è detto) che hanno aderito all’accordo siglato tra governo, Abi (l’associazione delle banche italiane) e parti sociali, per ritrovarsi in balìa di un mare di adempimenti burocratici. Accade anche questo nei giorni del disastro e a farne le spese è ancora una volta la parte più fragile del mondo del lavoro.
Se il decreto Cura Italia ha stanziato 4 miliardi per ammortizzatori sociali ad hoc, d’altro canto ai primi di marzo il governo ha mobilitato 400 miliardi di euro per aiutare con prestiti le imprese italiane in questo periodo di crisi economica. Una garanzia di liquidità che aveva fatto sperare ai sindacati anche mantovani in una maggiore disponibilità delle aziende ad anticipi diretti ai lavoratori per la cassa integrazione. Il 31 marzo è poi arrivata la convenzione nazionale che consente ai dipendenti sospesi dal posto a causa dell’emergenza di ricevere dalle banche un’anticipazione degli ammortizzatori. Una buona notizia che però ha visto anche molte aziende inizialmente disponibili a far fronte ai tempi Inps, magari con tanto di verbale di accordo siglato con i sindacati, tirarsi indietro.
E non sono poche le grandi aziende mantovane non disponibili a sobbarcarsi l’anticipo. Solo nel settore tessile-chimico-manifatturiero si contano Corneliani, Lmp, Lvt, Polis, Moa Sport e Pennellificio Zenit. «Si può fare una distinzione tra aziende in vera crisi di liquidità e quelle che non lo sono – osserva il segretario generale della Filctem Cgil Michele Orezzi – imprese che spesso sono dovute ricorrere agli ammortizzatori sociali nell’ultimo periodo e altre che invece ci ricorrono per la prima volta o dopo tanto tempo. Questo però è utile solo per pesare in modo differente le responsabilità dei singoli vertici aziendali che a monte hanno preso questa decisione. A valle però il risultato non cambia, abbiamo già in tutta la provincia centinaia di lavoratori che pagano questa scelta: nella migliore delle ipotesi porta ad un percorso ad ostacoli burocratici per ricevere un’anticipazione dello stipendio. Pensavamo che dopo i 400 miliardi del decreto teso a garantire la liquidità alle imprese l’atteggiamento di qualcuno cambiasse: invece qui tutti parlano di “riapertura totale”, fase 2 e di tornare ai livelli produttivi pre-epidemia senza che si preoccupino di difendere l’erogazione del salario di chi porta il vero valore aggiunto all’industria mantovana».
Stessa scena anche in altri comparti a partire dal metalmeccanico: «Riguarda circa il 30% – dichiara il segretario Fiom Marco Massari – delle aziende medio piccole». E dall’edilizia: «Siamo riusciti a contrattare l’anticipo – racconta Claudio Pasolini segretario Fillea – per il 40% degli addetti dell’edilizia per i quali è stata chiesta la cassa e per l’82% di quelli delle industrie di materiali da costruzione». Passando per il commercio «noi della Filcams – aggiunge la segretaria Roberta Franzini – abbiamo firmato verbali di cassa solo se c’era l’anticipo». Vale a dire solo 133 su 851 richieste di ammortizzatori sociali. —
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