In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Fa le ferie da volontario in casa di riposo

Un medico 28enne romano vive 11 giorni in prima linea alla Scarpari Forattini di Schivenoglia: «Sono cresciuto molto»

Daniela Marchi
2 minuti di lettura

SCHIVENOGLIA. Due settimane di fermo obbligato dal lavoro, un tempo sospeso e inutile. Uno spreco, in un momento di tale emergenza, per chi è medico e ha scelto di aiutare gli altri come obiettivo di vita.

Così, Giacomo Visioli, 28 anni, romano, giovanissimo camice bianco, laureatosi tre anni fa e ora specializzando di Oculistica-oftalmologia, dopo che al Policlinico Umberto I, dove già lavora, causa riduzione delle visite e dei turni, si è trovato due settimane di vacanza forzata, ha deciso di rimettersi subito in gioco.

[[(gele.Finegil.Image2014v1) GIA2HQA_WEB]]

Ha fatto alcune ricerche su internet tra le associazioni di volontariato e ha letto che la Croce Rossa cercava con urgenza medici volontari da inviare nelle strutture sanitarie del Nord Italia.

«Ho sentito che non potevo stare con le mani in mano, in un momento in cui c’è così tanto bisogno, se non mi muovo io che sono giovane e non ho una famiglia, dei figli, chi si deve muovere. Così ho presentato la mia domanda alla Cri. E nel giro di un paio di giorni mi hanno chiamato. Non sapevo nulla, nemmeno dove sarei andato; mi hanno detto “vai su al Nord a dare una mano”. Sono arrivato in treno nella vostra città e solo lì ho saputo che sarei stato destinato a Schivenoglia, paese mai sentito prima, alla casa di riposo Scarpari Forattini».

Una full immersion la sua, durata undici giorni che lo ha portato a contatto con una delle tante drammatiche situazioni che hanno vissuto, ma ancora vivono i nostri ospedali e le nostre Rsa.

«Mi sono trovato di fronte una situazione molto più complessa di quanti pensassi: i medici titolari ammalati e impossibilitati a venire regolarmente in struttura; personale ridotto quindi oberato di lavoro». «Ero quasi l’unico medico, altri colleghi venivano ogni tanto, mi sono trovato veramente in prima linea. In poco tempo ho dovuto imparare tutto: innanzitutto ho cominciato riprendendo i contatti con i famigliari che, non potendo entrare in struttura, non riuscivano sempre ad avere notizie aggiornate dei propri cari. Facile comunicare quando c’erano miglioramenie, è stata dura quando invece c’era da dire che la situazione era compromessa. Solo una volta ho dovuto dare la notizia del decesso di una persona e non è stato affatto facile». «Ho cercato di curare i più piccoli dettagli, le terapie, l’alimentazione, ma soprattutto il contatto umano e il contatto anche solo telefonico con i famigliari, che per le persone anziane e fragili equivale ad una medicina».

«La cosa che mi ha davvero colpito però - va avanti Giacomo - è la volontà, la generosità dimostrata da tutto il personale, amministrativi, infermieri, operatori assistenziali, gli addetti alle pulizie: gente che faceva doppi e tripli turni per senso di responsabilità, per non abbandonare gli ospiti. Gente stremata dalla fatica ma che non ha mai mollato un attimo. Da ognuno di loro ho imparato tantissimo, è stata un’esperienza di grande crescita, soprattutto umana».

Undici giorni, al lavoro quasi h24. «Alloggiavo in struttura, in una stanza all’ultimo piano, quindi per ogni urgenza io c’ero, ho cercato di fare del mio meglio, sempre aiutato dai miei colleghi. Sarà un’esperienza che mi porterò dentro per sempre». —


 

I commenti dei lettori