Ha paura del Covid, il boss Grande Aracri chiede i domiciliari
Il capo della cosca di ’ndrangheta vuole lasciare il carcere «Condizioni di salute precarie». Ha 61 anni ed è al 41 bis
Rossella CanadèMANTOVA. «Le sue condizioni di salute sono precarie». Questa la motivazione per cui il boss della ’ndrangheta Nicolino Grande Aracri ha dato mandato ai suoi legali di presentare richiesta di uscire dal carcere milanese di Opera e di scontare la pena ai domiciliari, in considerazione dell’emergenza sanitaria in atto.
Il boss, con condanne in giudicato che superano l’ergastolo, tra cui la sentenza di secondo grado al processo Pesci, che grazie alle indagini dei carabinieri del nucleo investigativo di Mantova ha smascherato gli affari della cosca nel Mantovano, è rinchiuso in regime di 41 bis, cioè in un isolamento che garantisce protezione sia a lui che agli operatori carcerari che ai parenti. Ma il capo indiscusso della ’ndrangheta cutrese ha paura di contrarre il coronavirus. Ad ispirare la richiesta, probabilmente, la notizia che uno dei suoi luogotenenti, Romolo Villirillo, condannato in via definitiva nel processo Aemilia come uno dei sei capi della cosca autonoma che si era radicata in Emilia Romagna, ha ottenuto un pronunciamento di scarcerazione dai giudici di Catanzaro.
Il curriculum di condanne di Nick Mano di gomma non è chiuso; attualmente è ancora alla sbarra in Corte d’Assise a Reggio Emilia per gli omicidi del 1992 che segnarono una prima resa dei conti tra le cosche calabresi trapiantate in Emilia Romagna. Fino all’ultima udienza di febbraio, prima della chiusura legata all’emergenza sanitaria, Grande Aracri ha seguito in video collegamento dal carcere ogni momento del dibattimento, intervenendo spesso e senza mostrare alcun segno di indisposizione fisica.
Il processo dovrebbe riaprire il 15 maggio per consentire al pm Beatrice Ronchi di concludere la requisitoria prima di passare la parola agli avvocati difensori.
L’iter non sarà semplice: perché il governo, su proposta del ministro Bonafede, ha approvato il 29 aprile un decreto legge che nelle decisioni relative alle misure alternative al carcere, rende obbligatorio il parere delle Procure Antimafia e, nel caso di detenuti al 41 bis, anche quello del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.
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