Gli anziani parte della soluzione, primo passo: accettare i limiti
Nelle rsa gli over 65 non sono nel luogo più sicuro: e si nega loro la possibilità di movimento. La segregazione dai produttivi è legata a una presunzione di sicurezza ingiustificata
Giovanni RossiMANTOVA. Aspettare si fa sempre più complicato. Andava meglio ai marinai che avevano la certezza di sbarcare dopo quaranta giorni. Tanto durava la quarantena che la repubblica di Venezia impose al tempo della peste.
Al primo gennaio 2019 gli italiani over sessantacinque anni erano 13,8 milioni, pari al 22,8% della popolazione totale. Per loro si prospetta una estate in casa.
Per la loro salute si afferma. Meglio stiano al riparo, al chiuso per evitare contatti e contagi. Ma è così? Saranno davvero più protetti, se le persone con cui convivono potranno uscire, rompere l'isolamento del nucleo familiare, e aumentare il rischio di portare il virus in casa? I luoghi in cui gli anziani stanno chiusi non si sono dimostrati del resto pericolosissimi? Chi ha portato il virus nelle Rsa? Gli anziani che vi risiedono o gli operatori ed i parenti che venivano da fuori?
Come si può sostenere la necessità del movimento all'aria aperta, nel rispetto ovviamente delle regole di distanziamento sociale, e poi negarlo alle persone che hanno più di sessantacinque anni, oggetto per lungo tempo di stimolazione a fare una via attiva. Raccontando i corsi di zumba per la terza età o scherzando sull'anziano (l'umarel) che sta fermo a guardiare (guardare e fare la guardia) ai lavori in corso?
Ricordiamoci che molti over 65 ancora lavorano e tanti altri si occupano dei nipoti. La verità è diversa. Le persone anziane sono più facilmente affette da patologie croniche. La concomitanza di altre patologie li rende persone a rischio, non l'età. È dallo stato di salute, non solo degli anziani, che si dovrebbe iniziare a ragionare. Il criterio guida dovrebbe essere clinico. Ci sono tante persone in salute anche tra i cosiddetti anziani. Il triage in pronto soccorso stabilisce un codice di gravità, a prescindere dall'età.
La fila che facciamo per entrare al supermercato, all'edicola, in farmacia risponde alla regola: “first come, first served”. Rispettiamo l'ordine temporale. Lo stesso criterio vale per l'accesso al pronto soccorso. L'ordine temporale può essere modificato solo dalla gravità clinica. Il codice rosso ha diritto di precedenza.
Purtroppo tale criterio è stato disatteso in questa emergenza. Temo che una parte dei morti sia da imputare alla indisponibilità di cure tempestive ed adeguate, e che molti anziani siano stati lasciati indietro, abbiano dovuto aspettare. Quando oramai è chiaro che prima si inizia la cura, meno grave sarà la prognosi.
Il virus ha messo in evidenza la vulnerabilità umana. Abbiamo provato ad esorcizzarla con le metafore di guerra. Sono metafore che sottendono l'idea che possiamo comunque controllare quanto ci accade. Se ci pensiamo la guerra la fa l'uomo. Ricorrendo a queste metafore è come se ci dicessimo che così come l'abbiamo dichiarata, possiamo anche terminarla.
Anche quando accusiamo i cinesi di averla provocata, cadiamo in questa illusione.
La realtà è un 'altra. Il virus non è umano. Agisce a prescindere da noi e dai cinesi. La metafora della guerra non regge. Il virus non lo sconfiggeremo, dovremo conviverci. Tuttavia per ripartire ci piacerebbe sentirci più sicuri, meno vulnerabili.
Il cervello veloce, quello degli istinti, ci porge la soluzione cui sempre le società umane hanno fatto ricorso per rispondere alla paura. Scrivono Maria Teresa Boccia e Grazia Zuffa: «Da sempre, alla reclusione e alla vigilanza sono stati sottoposti i soggetti fragili; considerati un rischio per l’ordine sociale, presi come segmenti di popolazione a vario titolo disabili, sui quali sperimentare i dispositivi del biopotere, combinando presa in carico e disciplinamento. Sempre in ragione dell’interesse e benessere collettivo».
La soluzione che il cervello veloce propone è quella di allontanare il senso di fragilità dai produttivi, caricandolo sulle spalle degli anziani. La fragilità umana diviene allora la fragilità dell'anziano. Una separazione e generalizzazione che oltre a stigmatizzare milioni di persone espone gli altri, i produttivi, ad una presunzione di sicurezza del tutto ingiustificata.
Ancora una volta si cerca di affrontare la complessità negandone la natura complessa. È lo stesso schema per cui l'emergenza è stata tutta spostata sugli ospedali, le terapie intensive, le macchine per respirare, la Rianimazione alla Expo di Milano. Niente diagnosi precoce, niente protezione degli operatori, niente individuazione dei contatti, niente interventi a domicilio, niente zone rosse. Niente gestione del territorio, niente sanità pubblica.
Errori che stiamo pagando con un carico enorme di sofferenza e migliaia di persone morte. Errare è umano, si dice, ma perseverare sarebbe diabolico. Di fronte ad un secondo fallimento c'è il rischio che lo stigma verso gli anziani si trasformi in riprovazione e sanzione.
Vuoi che non si trovi un anziano che trasgredisce in modo da dare la colpa a tutta la categoria delle eventuale recrudescenza della epidemia? Tutto non sta andando bene, ne dobbiamo essere consapevoli. Non possiamo illuderci di tornare alla situazione precedente, sacrificando gli anziani.
Tutti abbiamo la necessità di trovare vie nuove, a partire dall'accettazione del limite che deve avere l'agire umano. Siamo tutti sulla stessa barca, gli anziani non sono una zavorra di cui liberarsi. Rappresentano, piuttosto, una parte della soluzione al problema.
In Svezia le autorità non hanno introdotto obblighi, ma danno consigli e raccomandazioni.
I cittadini li mettono in atto perché si fidano delle istituzioni, d'altra parte queste ultime a loro volta dimostrano di fidarsi dei cittadini, evitando di introdurre obblighi e sanzioni,
Un modo maturo di gestire il limite nell'interesse individuale e collettivo.
In Svezia la vaccinazione non è obbligatoria, però il 97% degli svedesi è vaccinato. Un adolescente matura se viene preso sul serio, e non più trattato da bambino. Analogamente vanno considerate persone che mature lo sono da un pezzo.
Un programma di protezione non può che basarsi, allora, su di un’informazione corretta circa i rischi e la messa a disposizione di sostegni per chi ne abbia necessità. Il consenso informato genera fiducia, la coercizione discriminante genera invece trasgressione.
Dobbiamo mettere tra parentesi il cervello veloce, ed affidarci al cervello lento, quello riflessivo.
Non ci sono scorciatoie.
È per questo che se colo che hanno più di sessantacinque anni, che riflessivi lo sono per definizione, organizzeranno la resistenza lo faranno nell'interesse di tutti, e soprattutto delle future generazioni.
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