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Il Pd resta il primo partito in città: ha rischiato di subire il sorpasso

Il Partito democratico ha sfiorato il 30 per cento dei voti ma a un’incollatura è finita la lista civica del sindaco che rispetto a cinque anni fa è cresciuta in modo esponenziale

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MANTOVA. Il Pd in un colpo solo si conferma primo partito in città, aumentando i consensi rispetto a cinque anni fa, e asse portante della coalizione di centrosinistra che ha condotto il sindaco Mattia Palazzi ad una clamorosa riconferma con più del 70% dei voti. Per il segretario cittadino dei dem, nonché capogruppo uscente in Comune, Giovanni Pasetti, ci sarebbe di che vivere di rendita (politica) per molto tempo, ma lui tiene i piedi per terra. «Un risultato storico – dice – Aumentiamo il numero dei voti assoluti rispetto a cinque anni fa. Per questo ringrazio tutti i militanti, gli iscritti e i simpatizzanti. Un risultato ancora più straordinario se si pensa che siamo riusciti a sfiorare il 30% pur in presenza di un sindaco, Palazzi, che ha sfondato il 70% e che era appoggiato anche da una sua lista civica. Di solito, questo presuppone un arretramento del principale partito che lo sostiene. Mi riferisco, per esempio, a Zaia in Veneto dove la sua lista ha preso tanti voti mentre quella della Lega no».

Una pausa, poi riprende il commento: «Sono molto felice. È stata una bella campagna elettorale, fatta con una bella lista con tante persone nuove e con un grande gruppo consiliare e di assessori».

Per la cronaca, il Pd ha raccolto 6.469 voti pari al 29,61%%: cinque anni fa i voti erano 5.419 (28,10%). Anche allora era il primo partito della città, posizione che ha mantenuto anche un anno fa alle Europee quando i voti furono 7.342 (33,85%). Ieri i dem hanno tremato per il testa a testa avuto con la lista gialla Palazzi 2020; per tutta la giornata è stato un continuo sorpasso e controsorpasso che ha fatto pensare al clamoroso risultato; poi, lo scrutinio completato ha rimesso le cose secondo logica e si è arrivati alla cifra finale che ha visto le due liste divise solo da 250 voti (6.469 a 6.219, 29,61% a 28,47%).

«Sono sicuro – dice Pasetti – che avremo una rappresentanza importante in consiglio, come i gialli, e apriremo una prospettiva di completo rinnovamento del partito per stare vicino alle persone, come del resto è sempre stato». E spiega: «Quando un sindaco come Brugnaro a Venezia o un governatore come Zaia nel Veneto riescono a prendere tanti voti è perché sono riusciti a coinvolgere un elettorato che tradizionalmente non è il loro; così ha fatto la lista gialla che ha una forte identificazione con Palazzi».

Ad un certo punto, i gialli sono stati sul punto di superare il Pd: Pasetti non l’ammetterà mai di aver temuto il peggio per il suo partito, ma confessa che «queste votazioni lunghissime al termine di una campagna elettorale infinita hanno portato ad un ultimo giorno di tensione. Sono stato contento a mezzogiorno quando vedevo il Pd che reggeva perché il fatto che regga è fondamentale nella politica mantovana dato che è il partito baricentro della coalizione. Adesso sono felice».

Il tratto della felicità contraddistingue ogni commento dem nelle ore immediate allo spoglio delle schede e il capogruppo non fa eccezione. Le sue parole sono accompagnate da ampi sorrisi che per telefono non si vedono ma si intuiscono. Gli chiedono quale sia il segreto di Palazzi al 70% e del Pd che resta il primo partito con il 30% dei voti. La risposta è pronta: «È la buona amministrazione fatta dalla giunta in questi anni. È l’aver interpretato il sogno di tanti giovani di vedere Mantova diversa e di averla proiettata verso il futuro, oltre ad un certo atteggiamento scomposto dell’opposizione in questi anni». Quanto al Pd, «è aumentata l’affluenza: se mi avessero detto prima di firmare per un partito quasi al 30% lo avrei fatto subito». Non può non ritornare sul successo del sindaco: «Palazzi che vince con un 70% dei consensi è un fatto epocale, permettetemi un attimo di vanità nel ricordare che io sono il primo segretario cittadino del Pd ad aver contribuito a tutto». Un privilegio, però, che il segretario vuole condividere «con tutta la segreteria».
 

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