L'alfabeto del futuro, Colaninno e l’innovazione
Michele Colaninno del gruppo Piaggio è il prototipo dell’imprenditore che punta tutto sull’innovazione. Non per nulla ha fondato (e presiede) Piaggio Fast Forward, la fabbrica di Boston che ha prodotto Gita, il robot-valigia capace di trasportare merci e seguire il proprietario
sandro MortariMANTOVA. Determinato nel dire ciò che pensa, fustigatore dei politici e della burocrazia; anche ironico nel rispondere alle domande del suo intervistatore, il direttore de La Stampa Massimo Giannini. Fiducioso nelle capacità dell’Italia che, però, deve capire che la vera sfida è la scuola. Michele Colaninno del gruppo Piaggio è il prototipo dell’imprenditore che punta tutto sull’innovazione. Non per nulla ha fondato (e presiede) Piaggio Fast Forward, la fabbrica di Boston che ha prodotto Gita, il robot-valigia capace di trasportare merci e seguire il proprietario.
Che cosa è Gita e perché è stato prodotto a Boston e non Italia chiede Giannini per rompere il ghiaccio.
Colaninno ricorda la partenza del progetto nel 2015 in una Boston «patria mondiale della robotica e dell’intelligenza artificiale», attorno a cui «gravitava un milione di studenti universitari». L’ambiente adatto, insomma, per quella sfida: «Lì – ricorda – abbiamo incontrato le persone che ora lavorano con noi. Ci siamo trovati subito in sintonia sui problemi da risolvere per la mobilità urbana. Siamo arrivati a produrre il primo robot di questa tipologia, che è al servizio dell’uomo, e non lo sostituisce, per migliorarne la produttività». Poi il concetto chiave: «La multiculturalità nell’industria è alla base di tutto, ma in Italia è un gradino ancora da scalare». Il discorso vira sul tema del momento, il Recovery fund e il Mes, «la grande opportunità che abbiamo – sottolinea Giannini –, un flusso di denaro mai visto in passato». Il direttore chiede al suo interlocutore se «noi italiani siamo attrezzati per intercettare quel denaro». «Il virus – risponde l’imprenditore – ha risvegliato l’animo europeista delle 27 nazioni e ha innestato quel processo di collaborazione che ancora mancava. Questo ci dà la possibilità di sfruttare i finanziamenti. Però – ammonisce – ci vogliono idee per non sprecare quei soldi». Colaninno è ottimista: «Forse abbiamo intrapreso la strada giusta. Noi non siamo inferiori a nessuna delle gradi potenze industriali, però serve una politica industriale seria». Insomma, «servono regole per non fare confusione e non perdere il treno».
Giannini incalza: «Molto dipenderà dalla nostra capacità di presentare all’Europa progetti credibili. Ma il ceto politico è all’altezza di questa sfida?». «Servono poche cose fatte bene» risponde Colaninno, che sui politici non affonda, anzi: «Il ceto politico che ha gestito questo periodo ha fatto un buon lavoro. Il paese, però, è vecchio dal punto di vista tecnologico per competere nel mondo». Servirebbe il pragmatismo e la velocità degli Usa per colmare quella carenza. E aggiunge: «Abbiamo un’opportunità straordinaria coi fondi europei; mi auguro, anche per i miei figli, per i giovani che vivono nell’ansia, che questa opportunità non venga sciupata».
Colaninno ha toccato il tema del futuro. Giannini rimarca che l’Italia è un paese vecchio, dove la natalità è al minimo storico. «Un paese senza giovani è un paese senza futuro» dice il direttore, che parla di «generazione tradita» dai politici. «Innovazione e istruzione sono una linea di faglia rispetto al moltiplicarsi delle diseguaglianze. Possiamo colmare questo gap o condanniamo i giovani ad andarsene?».
«Si può fare – osserva Colaninno –. Il motore della creatività nel bambino è la scuola. Il metodo scolastico italiano è antiquato. Quando ho parlato ad Harvard ho visto una curiosità che non vedo negli studenti italiani. La prima rivoluzione deve essere modificare l’istruzione. Bisogna che lo Stato stimoli la curiosità dei ragazzi». Certo, bisognerebbe evitare di trovarsi, come è successo durante il lockdown con le scuole chiuse e gli studenti a casa senza connessione: «Doveva pensarci prima lo Stato per non trovarsi in quella situazione» sferza Colaninno. Che mette nel mirino la burocrazia, «nemica dell’impresa». «È l’altro nostro grande problema» osserva Giannini, quello che in Italia avrebbe fatto chiudere il garage a Job quando iniziò e stroncato Apple nella culla.
«È un male atavico – dice l’imprenditore – nato per rallentare le decisioni politiche, ma che limita di molto la crescita del paese. È necessario che ci sia la libertà di fare impresa, di sbagliare. Se da noi un ragazzo ha un’idea e fallisce non deve essere considerato un reietto sociale. Per far crescere il paese servono le imprese, ma in Italia è difficile fare impresa». Il tempo scorre veloce e arriva l’ultima domanda. «Quando aprirete una Piaggio Fast Forward anche in Italia?» chiede Giannini. Le possibilità sono poche, sembra di capire dalla risposta: «Piaggio Ff è un dialogo continuo tra ragazzi che lavorano in diverse parti del mondo. Magari – chiude Colaninno con una battuta guardando Palazzi in prima fila – la faccio a Mantova, se il sindaco non ci fa aspettare sette anni».
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