Un sistema produttivo che va all’asta: a Mantova in vendita capannoni per 50mila metri
Il valore degli edifici al momento oggetto di fallimento ammonta a 12,6 milioni. Sul mercato 170mila metri di Valdaro spa
Enrico ComaschiMANTOVA. Vent’anni fa, nel rutilante 2000, i Comuni mantovani avevano inserito nei loro piani regolatori circa seicento nuove aree produttive. Per gli enti pubblici questo significava principalmente introiti fiscali e oneri di urbanizzazione, senza contare i benefici occupazionali e finanziari per la comunità. Sembra passato un secolo: ci sono stati l’11 Settembre, il crack dell’estate 2008 e, da ultimo, il Covid-19. Impossibile valutare gli effetti delle ondate di crisi anno per anno, ma è possibile fare una fotografia del panorama di oggi.
E oggi, lungo tutto l’asse provinciale, sono all’asta fallimentare ventiquattro capannoni per un totale di 50mila 544 metri quadrati (prezzo d’asta: 12,6 milioni). Strutture abbandonate che sono costate mediamente una quindicina di milioni: una parte non certo preponderante rispetto agli investimenti complessivi, che comprendono macchinari e tecnologia. Questo significa che, appiattendo gli estremi di capannoni “poveri” e capannoni che ospitavano l’hi-tech, il dato numerico delle aste potrebbe rappresentare il 10% circa del valore intrinseco delle attività fallite. Insomma: stando al dato di oggi, gli investimenti bruciati ammontano ad un centinaio di milioni. Il dato è di oggi e non guarda all’indietro (ed è meglio non guardare in avanti). Un disastro.
Se è vero che per le attività produttive sono stati stanziati aiuti (certo: parziali), bisogna considerare i mancati introiti per le pubbliche amministrazioni locali e incrociare il dato con la crescente richiesta di servizi da parte dei cittadini, e non solo quelli più deboli. Come risponderanno i Comuni a queste istanze senza gli introiti finanziari che prima erano garantiti dall’edilizia?
C’è poi un’altra questione che va consegnata ai sindaci dei Comuni mantovani, ed è quella relativa all’area della Valdaro Spa. Un’area in posizione altamente strategica: restano da vendere all’asta, entro la fine del 2021, circa 170mila metri quadrati di terreno per un controvalore che, tenendo per buono il prezzo fatto a Rossetto per il suo insediamento, si avvicina ai 3,4 milioni.
Ma un’azienda interessata ad investire nel Mantovano, o più semplicemente un’azienda mantovana che vuole crescere, comprerà un capannone all’asta o andrà ad investire sui terreni dalla Valdaro Spa? La domanda è tutt’altro che irrilevante, in quanto il meccanismo delle aste fallimentari innesca una concorrenza al ribasso tra territori. E visto che a livello macroeconomico possiamo dire che gli investimenti non procedono al galoppo, è lecito attendersi un ulteriore impoverimento del flusso di finanza nelle casse dei Comuni.
Un esempio per tutti, considerando la stretta attualità. Tra i capannoni all’asta ci sono quelli della Reni: per il Comune di Volta Mantovana avere o non avere attiva un’azienda come la Reni fa decisamente la differenza sia per la ricchezza prodotta, sia per gli incassi fiscali. E ora nel cuore di Volta Mantovana c’è un “buco” di oltre ventottomila metri quadrati che un tempo produceva ricchezza per il paese e versava imposte e tasse al Comune.
Le aste, dicono i costruttori edili, sono il detonatore che ha favorito il deprezzamento del mattone: ad oggi la Reni è accreditata di una valutazione di 4milioni 280mila euro (la prima valutazione era stata di 14 milioni), ma bisognerà vedere se e a quanto l’area verrà effettivamente venduta, buttando sempre un occhio a quello che succederà in zona Valdaro, dove le aree costavano quarantasette euro al metro e ora sono in vendita a venti.
Tornando invece nell’ottica dell’edilizia, e senza dimenticare le speranze di vent’anni fa svanite una mazzata dopo l’altra, è utile notare che (secondo dati Ance) nel 2007 la quota delle costruzioni di nuova edilizia abitativa era il 27.9% del totale, diventato il 13.5% nel 2019. La manutenzione straordinaria del patrimonio abitativo era, nel 2007, pari al 19.9%, mentre nel 2019 era il 36,5% dell’ammontare complessivo. Le costruzioni non residenziali pubbliche erano il 24,2%, nel 2019 si sono contratte fino al 17.8%. Le costruzioni non residenziali private, infine, erano il 29,09% nel 2007 e sono diventate il 32,2% nel 2019: un dato che segnala l’incremento sostanziale degli investimenti sulla logistica, l’unico comparto economico ad essere cresciuto nel medio periodo.
I commenti dei lettori