Concessione di A22: gli enti soci del sud chiedono la proroga ma tenendo i privati
«Solo così possiamo garantire gli investimenti promessi». La ministra insiste: società pubblica da fare entro dicembre
Sandro MortariMANTOVA. È corsa contro il tempo per il rinnovo della concessione per l’Autobrennero; una vicenda che, sempre di più, sta diventando terreno di scontro tra partiti e tra enti locali del sud e del nord del tracciato. Nella legge di stabilità 2021 varata dal consiglio dei ministri nei giorni scorsi, la ministra dei trasporti Paola De Micheli (Pd) ha introdotto una norma per favorire il rinnovo della concessione trentennale alla nuova società in house, formata solo da soci pubblici (Comuni, Province e Camere di Commercio) e il trasferimento allo Stato, e poi a Rfi, degli 800 milioni di euro che la vecchia A22 aveva accantonato per la ferrovia del Brennero e per altre opere infrastrutturali nelle province del tracciato, tra cui il porto di Valdaro.
La ministra ha imposto una data limite per rinnovare la concessione: il 29 dicembre, peraltro voluta dall’Unione europea. Tutto bene dunque, visto che si verrebbe a capo di una vicenda che si trascina dal 2014, quando è scaduta la vecchia concessione poi più volte prorogata?
Niente affatto, perché la situazione si è ingarbugliata. A opporsi alla soluzione della ministra, ben vista solo dal presidente della Provincia autonoma di Bolzano, sono i soci del sud, da Trento a Modena (Mantova compresa). Costoro vorrebbero una proroga di dieci anni dell’attuale concessione in modo da tenere dentro anche i soci privati e non mettere in discussione i 4,2 miliardi di investimenti promessi (con i quali si realizzerebbe anche la terza corsia). Il problema è che per arrivare al rinnovo trentennale della concessione, bisogna liquidare i soci privati dell’A22, e cioè Serenissima, Condotte, Banco popolare e Infrastrutture Cis.
Questi, per uscire dal capitale dell’autostrada, chiedono 160 milioni di euro, mentre l’offerta pubblica non andrebbe oltre ai 70 milioni stabiliti come valore dalla Corte dei Conti. Facile immaginare che i privati non ci stiano e che aprano lunghissimi contenziosi contro quello che riterrebbero un esproprio. È proprio per evitare la battaglia nei tribunali che metterebbe a rischio gli investimenti promessi che i soci del sud vorrebbero tenere dentro i privati nella società di gestione per altri dieci anni.
E invocano la direttiva europea che dice che nelle società in house i privati possono rimanere a patto che abbiano meno del 20%: qui siamo al 14,1575%. Per Mantova quegli investimenti significano 160 milioni di euro che il sindaco Mattia Palazzi, un anno fa, ha negoziato con tutti i soci per dare l’ok all’operazione: 110 milioni da utilizzare per la viabilità nei Comuni mantovani attraversati dall’autostrada (ma anche per opere in altri Comuni) e altri 50 da investire nel porto di Valdaro. Per Mantova tra quei 110 milioni ci sarebbero anche i 60 necessari per l’Asse sud nel caso non andasse in porto l’autostrada Mantova-Cremona, e i 17 per la riqualificazione di Porta Cerese, parco Te e viale Piave.
Poi c’è anche la vicenda della nuova governance della società, com’era stata concordata con il precedente ministro Toninelli. Il nuovo cda della società in house sarà formato da sei persone, tre delle quali, compreso il presidente, indicate dai ministeri dei trasporti e dell’economia. «L’anticamera della statalizzazione» hanno tuonato i soci del sud.
Ecco che la partita che si giocherà in Parlamento è molto importante e delicata. Italia Viva e la Lega trentine sono già pronte a far sentire la loro voce durante la discussione sulla legge di stabilità, mentre i Cinque Stelle invocano la gara e il Pd, viste le posizioni dei sindaci emiliani e del sud Lombardia, non è più tanto compatto attorno alla De Micheli. La quale insiste: o si rinnova adesso la concessione per 30 anni oppure si va a gara europea. Ipotesi, quest’ultima, aborrita da tutti, da Bolzano a Modena.
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