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Ristoratori in affanno, il delivery non tira più: «Però sarà il futuro»

La nuova ondata ha esaurito la spinta del primo lockdown: «Troppo complesso e costoso, la redditività è al minimo»

Sabrina Pinardi
2 minuti di lettura

MANTOVA. Un modo per limare le perdite e restare sulla piazza, con un occhio al futuro. Le consegne a domicilio di pranzi e cene non decollano: era andata meglio nel primo lockdown, quando la spinta della novità aveva fatto in modo che i mantovani alzassero il telefono e pigiassero sulle app per fare gli ordini. In questa seconda fase, i numeri del servizio nei singoli locali sono calati. Guai, però, ad arrendersi: il delivery è destinato a crescere di nuovo, e sarà – prevedono gli esperti – una fetta del business degli anni a venire.

«Appena sufficiente» è il giudizio sulle consegne di Giampietro Ferri, presidente Fipe-Confcommercio e maître dell’Osteria da Pietro di Castiglione delle Stiviere. «Va bene per le pizzerie, soprattutto per chi, già prima della pandemia, era organizzato per il servizio. Per la ristorazione in senso stretto è troppo complesso e costoso. C’è dietro un grande lavoro, ma la redditività è al minimo: non si può parlare di guadagno, è un modo per contenere le perdite». Il delivery, però, non va abbandonato: «Credo che in futuro, insieme con il take away, potrà accompagnare l’attività ordinaria. Dobbiamo studiare, e capire in che modo affrontare meglio le difficoltà che comporta». Parlare di futuro, però, per molti è una stonatura: «Tanti colleghi, purtroppo, mi hanno chiamato e mi hanno detto che non sanno cosa faranno a fine anno. C’è chi ha perso più del 70% del fatturato rispetto al 2019».

Conferma percentuali disastrose Stefano Solci, vicepresidente di Confesercenti e titolare della Masseria: «I più fortunati hanno subito cali di fatturato del 50%. Ricordiamoci, poi, dell’indotto e dei lavoratori: bar e ristoranti assorbono molta forza lavoro giovanile e femminile. Tante persone perderanno una buona parte delle loro entrate, e questo si ripercuoterà sui consumi futuri». Per Solci, a Mantova il delivery non ingrana anche per una questione culturale, e comunque non rappresenta un ammortizzatore: «Soprattutto per chi ha dipendenti, non è una soluzione. La categoria aspetta il momento in cui si può tornare a lavorare».

Confermano l’andamento al rallentatore due ristoratori che sul delivery hanno scommesso. «Non va bene come l’altra volta» racconta Marzia Sabattini dell’Acquapazza, in tempi normali responsabile di sala e ora rider a tutti gli effetti: il suo ristorante propone piatti completi e gastronomia d’asporto. «Nel primo lockdown c’era stata una buona risposta, ora qualcosa si fa, ma con grande fatica. Personalmente non so più cosa inventarmi. Ogni settimana è da gestire in modo diverso, senza certezze, sempre in sospeso. Siamo stanchi e preoccupati, ma i clienti ci danno forza».

Consegne in flessione rispetto a marzo anche per la Cucina. «Abbiamo gli affezionati che continuano a ordinare regolarmente e con soddisfazione – spiega Luca Zamboni – ma abbiamo notato un calo che non riesco a spiegare: non so se dipenda dal fatto che tutti lo fanno, dalla maggiore libertà delle persone o dalla mancanza di soldi. Siamo sorpresi, perché eravamo pronti, più rodati rispetto alla primavera». Dal punto di vista delle entrate, il servizio, comunque, non paga: «Economicamente ci conveniva stare chiusi. Ma in questo modo non ho fatto fare ai miei dipendenti nemmeno un giorno di cassa integrazione». —



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