MANTOVA. «Difficile pensare a un anno peggiore di questo» sospira il presidente di Federalberghi Confcommercio, Gianluca Bianchi. L’anno del grande contagio planetario ha compresso il raggio dei movimenti in un singhiozzo di chiusure e riaperture che ha mandato in fumo il 70% del fatturato degli alberghi. Le stime per il futuro leggono un recupero lento, che riporterà il settore in pari soltanto nel 2023, sperando che il vaccino anti-Covid permetta di archiviare questa tempesta sanitaria, economica ed emotiva.
Non recrimina Bianchi, di fronte a una pandemia si è tutti disorientati, e i paesi dove i ristori sono più robusti hanno un rapporto debito Pil che è la metà di quello italiano, ma da presidente di Federalberghi interviene a raccontare l’affanno di «un settore alla frutta». «Si sente tanto parlare di bar e ristoranti, ma le strutture ricettive sono ancora più penalizzate – osserva – senza con questo voler negare le sofferenze altrui. Diciamo che bar e ristoranti hanno più chance, sono frequentati dai “locali”, la gente ci vuole andare. Noi, invece, siamo a zero, nessuno può girare per turismo e anche la clientela business si è ridotta tantissimo, senza più fiere e con lo smart working».
La beffa è che gli alberghi potrebbero restare aperti pure in zona rossa, ma senza clienti che senso ha? «Nel nostro caso non si può nemmeno dire che i consumi si siano depressi – ragiona Bianchi – la gente ha sempre voglia di viaggiare, forse ancora di più, ma il prodotto non lo si può consumare». Vero, anche se preoccupano i milioni di disoccupati di rimbalzo che l’Italia si attende in primavera, quando si disinnescherà il divieto di licenziare. Senza lavoro e prospettiva, come s’incoraggiano i consumi?
Una cosa per volta, adesso la domanda è: cosa chiedono gli albergatori al governo? «Che promuova il paese e ci conceda dei finanziamenti a tassi agevolati per ristrutturare i nostri alberghi, per renderli competitivi con il resto del mondo. Io nel futuro ci credo» risponde Bianchi. Con lo sguardo oltre la tempesta.