MANTOVA. Una mattina di fine aprile non ce la fa più. Prima sospetti, sempre più insidiosi, poi coincidenze inverosimili, infine le chat su WhatsApp con il collega che ha visto con i suoi stessi occhi quello che avveniva al pronto soccorso. Che, come lui, pensa di aver capito. «Io non ci sto a uccidere pazienti solo perché vuole liberare posti letto». «Sono d’accordo con te, quello è pazzo». Non possono essere casualità, questo pensa. E non ci sta più. Chiama un avvocato che conosce e da Castiglione scende in città. C’è il lockdown ferreo, vietato muoversi, se non per motivi urgenti. E il suo lo è, ne è sicuro. Passa a prendere il legale e insieme vanno in via Chiassi, alla caserma dei carabinieri. Qui, davanti agli uomini del nucleo investigativo, racconta quello che gli toglie il sonno da settimane, in piena pandemia, con i pazienti che si ammalano e muoiono. È convinto che Carlo Mosca, il suo primario, il medico che ha fatto dell’efficienza il suo credo, abbia deciso di ammazzare i pazienti per abbassare la pressione sulla struttura ospedaliera, somministrando farmaci letali.
L’infermiere non mette sul piatto solo parole ma anche carte. Documenti, messaggi WhatsApp, e molto probabilmente anche altro: i carabinieri, dopo rapidissimi accertamenti, portano tutto alla Procura di Brescia. Scendono in campo a passo di battaglia i Nas che sequestrano le cartelle cliniche. Da quelle, dai controlli incrociati, i sospetti diventano piste concrete.
La Procura si convince che ai due uomini siano state somministrate flebo di Succinilcolina e Propofol, due farmaci usati prima di intubare i pazienti. Farmaci che bloccano il respiro e portano a morte certa se non si procede con manovre nelle Terapie Intensive. A maggio, i loro corpi vengono riesumati. In un caso ci sono tracce di quei farmaci, in un altro ci sono le testimonianze del personale parasanitario. L’infermiere mantovano non è solo. Il pubblico ministero Federica Ceschi nella sua richiesta di arresto scrive: «Mosca non ha esitato a porre fine a pazienti fragili e in condizioni gravi, ma non in pericolo di vita». —