Non smettiamo di capire, gentile ministra
L'editoriale di domenica 14 febbraio del direttore della Gazzetta di Mantova, Enrico Grazioli

Gentile ministra Elena Bonetti,
la sua conferma a un dicastero nell’iperbolico, ambizioso e un po’ contraddittorio esecutivo Draghi è una delle non troppe ragioni di speranza che questo possa davvero essere il “governo dei migliori”, come agiograficamente e subito da molti definito. Per la sua storia, per quanto dimostrato nell’esperienza recente, per il Family act (unica riforma attribuibile al Conte2), per la sua lucida e un po’ visionaria determinazione, per la compostezza in mezzo a tanti sguaiati, per il senso della misura e del ruolo e non ultima la grazia nel porre questioni cruciali in tema di diritti, uguaglianze e disparità: di civiltà, in una sola parola.
Così che quando qualcuno la spinse a farsi da parte (lei era assolutamente d’accordo, certo, fu una scelta condivisa per un bene altro e superiore...) parlando a nome suo e della sua stimata ex collega all’Agricoltura, si toccò forse il punto più basso della querelle che ha portato alla crisi. Perché vi si mancò di rispetto, anche se da parte di amici fidatissimi per quanto imprevedibili.
C’è in giro un libro (“Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, Adelphi), pare molto bello, in cui Benjamin Labatut racconta per singole storie sovrapposte, fatte spesso di numeri ovvero una materia che lei conosce molto bene, la nascita della scienza moderna. C’è l’alchimista che non comprende il valore della sua quasi casuale scoperta oppure il chimico che al contrario si esalta e viene esaltato per un ritrovato che porterà invece conseguenze disastrose all’umanità. E c’è anche un giovane tormentato che vede come unica soluzione alla complessità lo smettere di voler capire il mondo come lo si è capito fino ad ora, per dirigersi verso una forma di conoscenza e interpretazione completamente nuova: che permetta di comprendere ancora e davvero.
Potrebbe valere anche per la politica, oggi: nell’osservarla restandone disorientati, come nel praticarla senza poter sempre prevedere e controllare gli effetti finali dei propri comportamenti... Ma se c’è una cosa che in particolare il governo dei migliori non può permettersi, anche o forse proprio perché irrobustito da tecnici che di fronte a certi politici (non tutti) fanno la figura degli scienziati, è di non capire il nostro mondo: la nostra scombinata e sofferente Italia, nel suo intero e nelle sue parti. In nome dell’emergenza e della confusione avrà più poteri reali di quanti mai concessi a un esecutivo, l’orrido davanti agli occhi di uno scioglimento delle Camere e di nuove elezioni che a nessuno convengono farà da cemento e da silenziatore agli eccessi strumentali, almeno per un po’.
Non sappiamo se queste condizioni, forse necessarie, siano sufficienti ad aprire una stagione nuova, a scrivere nel futuro non solo immediato una storia diversa, leggibile fin da subito per tutti. Quel libro, gentile ministra, si chiude con la vicenda di un matematico che a una certa età si rifugia a fare il giardiniere, spaventato dal potere di trasformazione del reale insito nel sapere che egli stesso teorizzava da anni e anni. Scelta o destino che non è certo l’augurio da rivolgere a chi ha giurato ieri, anzi, e tantomeno a lei che i numeri di una vita non li abbandonerebbe mai (mica sono un ministero...) Serve solo a ricordare, di passaggio, che l’affidarsi ai tecnici e alle competenze, alla “scienza” di governo dei superesperti richiede sempre e comunque la compensazione, lo sguardo lungo della politica: purché abbiano l’ambizione, questa sì, di essere diversi da quelli usati fino ad ora.
E uno dei modi più semplici per farlo, per proteggere e affinare questa sensibilità, sta ad esempio anche nel contatto continuo con il territorio. Continuare a guardare il proprio mondo è il primo passo per non smettere di capirlo. Lei lo ha fatto, gentile ministra, in questo anno e mezzo, soprattutto in alcuni passaggi complicati (caso Corneliani ad esempio), senza sovraesposizioni, senza bisogno di particolari passerelle. Ce ne sarà ancora bisogno, perché i discorsi avviati non siano interrotti da qualche alchimista, perché nella distribuzione dei sacrifici come delle risorse ognuno venga considerato per ciò che sa proporre e garantire attraverso la propria capacità amministrativa, perché senza interlocuzione continua tra Roma e Mantova (passando compatibilmente e possibilmente anche per Milano...) ci diventerebbe comunque impossibile capire il nostro piccolo grande mondo. E anche se siamo davvero di fronte a un modo diverso, che sia il migliore o anche qualcosa meno, di governare.
Buon lavoro, gentile ministra.
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