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Mantova, bruciati investimenti per 26,5 milioni: un sistema produttivo all’asta fallimentare

A ottobre il valore dei soli capannoni in vendita era di 12,6 milioni. A oggi siamo a quota 16,6 milioni

Enrico Comaschi
2 minuti di lettura

MANTOVA. Quando si evocano gli effetti della pandemia sugli assetti economici del futuro non bisogna dimenticarsi che il nostro sistema produttivo è in crisi nera da parecchio tempo e che le eccellenze (molte, per fortuna, e in settori diversi) fanno il paio con enormi buchi neri.

Lo scorso ottobre la Gazzetta di Mantova aveva riportato un dato, un numero: il valore dei capannoni industriali e artigianali all’asta. Si parlava di 12,6 milioni: cifra che va valutata tenendo conto della svalutazione di un patrimonio immobiliare in vendita fallimentare. Per dare un’idea di quello che sta succedendo: da ottobre ad oggi il valore dei capannoni all’asta, considerando i ribassi di legge, è arrivato a 16,66 milioni.

Questo significa che è aumentato il numero delle aziende andate a gambe all’aria (e questo era preventivabile), ma significa anche che il sistema economico, nel suo complesso, continua a bruciare investimenti.

Anche perché se allarghiamo lo sguardo troviamo che all’asta fallimentare ci sono anche edifici commerciali per un valore di 6,16 milioni; magazzini e depositi per un valore di 2,56 milioni; uffici per un valore di 1,10 milioni. A conti fatti, lasciando fuori i decimali: l’economia mantovana sta polverizzando 26,50 milioni di euro. Attività finite male per varie ragioni, posti di lavoro che non ci sono più.

Ma non bisogna lasciarsi ingannare: il valore dell’immobile rappresenta soltanto una frazione del valore complessivo dell’azienda. Che, infatti, vive di macchinari, di tecnologie, di brevetti, di materie prime. Alla faccia del 26,50 milioni, insomma, cifra comunque enorme. Rimanendo sui capannoni, secondo una stima prudenziale, basata su un bilanciamento tra gli spazi “poveri” e gli spazi “ricchi”, il valore immobiliare nudo e crudo rappresenta circa il 10% del valore in marcia. Questo vale per le attività artigianali e industriali. In caso di commercio, si può ragionevolmente considerare un’aggiunta per le merci svalutate, da vendere o vendute. Insomma, abbiamo un problema importante anche in aree sviluppate.

C’è poi una questione urbanistica. Nel 2000 i Comuni mantovani avevano inserito nei loro piani regolatori circa seicento nuove aree produttive. Per gli enti pubblici questo significava principalmente introiti fiscali e oneri di urbanizzazione, senza contare i benefici occupazionali e finanziari per la comunità. Di fronte ai numeri delle aste fallimentari si può solo immaginare quanto gli stessi Comuni possano soffrire i mancati introiti fiscali e oneri di urbanizzazione: soldi in meno significa anche dover rinunciare a qualcosa sul fronte dei servizi, proprio in questa fase che vede le categorie più deboli ancora più in difficoltà.

Ma non è finita. Una fabbrica, un laboratorio artigiano o un magazzino commerciale che funzionano non consumano suolo: piuttosto ne convertono il valore intrinseco in ricchezza distribuita su larga scala con gli stipendi e con il pagamento dei fornitori. Una fabbrica, un laboratorio o un magazzino vuoti consumano suolo, invece: non producono, vanno in degrado e offrono agibilità a speculazioni immobiliari e finanziarie.


 

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