A Mantova già 40 i contagiati dalla variante inglese: «È diffusa ovunque, anche tra i bambini»
Intervista al dottor Luigi Vezzosi del nucleo Malattie Infettive dell’Ats: «Non abbassate la guardia, l’abbiamo trovata anche tra i vaccinati»
Roberto Bo
MANTOVA. Anche a Mantova è scattato l’allarme varianti Covid. Al momento la task force dell’Ats Val Padana ha identificato solo quella inglese. Una quarantina i casi scoperti finora, diffusi un po’ su tutto il territorio provinciale – da Viadana a Mantova e fino a Castiglione delle Stiviere – e in tutte le fasce di età, bambini compresi.
Una ricerca continua che si avvale della collaborazione dell’Asst, dei medici di famiglia, dei medici competenti aziendali e delle scuole, oltre che del policlinico San Matteo di Pavia e dell’istituto zooprofilattico di Brescia dove vengono inviati i tamponi sospetti per la genotipizzazione.
Il dottor Luigi Vezzosi, 36 anni, specializzazione in Igiene e medicina preventiva, dirigente medico dell’unità operativa prevenzione Malattie Infettive dell’Ats Val Padana, ormai da mesi studia e monitora le varianti del Covid-19 nelle province di Mantova e Cremona e invia periodicamente alla Regione il rendiconto di quanto succede nei due territori.
Dottor Vezzosi, dopo un anno siamo di fronte alla terza ondata?
«Qualche collega dice di sì, bisogna però capire se è la terza o la seconda che non si è mai fermata. La curva non si è mai appiattita come nella prima ondata. Secondo me siamo ancora alla seconda nella quale si è inserita la variabile varianti».
Attualmente quante varianti circolano nel Mantovano? E quanti sono i contagiati?
«Al momento in provincia di Mantova circola solo quella inglese, ma non vorrei essere smentito tra cinque minuti. Il monitoraggio sui casi sospetti è sempre in corso. Finora la variante inglese ha infettato una quarantina di persone di tutte le età, anche bambini. La sua diffusione sul territorio è uniforme. Ad esempio l’abbiamo trovata a Viadana, a Mantova e a Castiglione delle Stiviere. Certo sentiamo la vicinanza delle province limitrofe dove è molto presente, ma già a novembre e prima di questo allarme nazionale come Ats avevamo già iniziato la sua ricerca in collaborazione con il San Matteo di Pavia perché avevamo notato qualcosa di strano nel Veneto. Oggi facciamo ancora attività di screening nelle grosse realtà aziendali al confine con Veneto e Brescia».
La variante risulta presente in circa il 30% dei casi. Giovedì nel Mantovano i nuovi positivi erano 214: questo significa che almeno 65 sono contagi da variante inglese?
«Tutto è possibile, anche se al momento ritengo che nel Mantovano la percentuale sia inferiore. Ovviamente non possiamo fare il test su tutti i casi che si presentano per motivi di carattere tecnico. Si fa una stima, si prendono campioni random ogni 10-15 giorni. Ad esempio un focolaio lavorativo con un centinaio di persone. Se nei campioni vengono trovate le varianti scatta un nuovo protocollo di sicurezza e si considera variante anche il resto del gruppo. La quarantena viene estesa a quattordici giorni e non dieci come nel ceppo normale. Inoltre anche il contact tracing viene portato indietro di quattordici giorni invece di due».
Le varianti sono davvero più contagiose e di quanto rispetto al ceppo originario?
«È certamente più contagiosa. L’Iss recentemente ha stabilito che quella inglese è più trasmissibile del 37% e fino a punte del 60%. Sulla clinica ci sono studi che sostengono che possa essere anche più grave. Però abbiamo soggetti infettati nel Mantovano anche asintomatici e altri che impiegano alcune settimane a negativizzarsi. E qualcuno è finito pure in ospedale. L’allarme è legato alla maggiore trasmissibilità, nel senso che più casi hai e più possono aumentare i ricoveri».
Quanto tempo serve per individuare un caso di variante?
«Il tampone viene inviato al San Matto di Pavia o all’istituto zooprofilattico di Brescia e la risposta può arrivare anche in cinque giorni».
Le varianti prenderanno il posto del primo ceppo?
«In Inghilterra e in Sudafrica è successo questo. Per il momento nel Mantovano non c’è traccia della brasiliana e della Sudafricana».
A Perugia per la prima volta sono state individuate le varianti inglese e brasiliana nelle acque di scarico. I rischio c’è anche da noi?
«Le acque degli scarichi vengono controllate regolarmente. Al momento non abbiamo avuto riscontri di varianti nelle acque reflue».
I vaccini sono efficaci contro le varianti?
«Sono efficaci nel ridurre la malattia grave e la malattia lieve. Stiamo monitorando le varianti anche su chi è già stato vaccinato con prima dose e richiamo e qualche caso di contagio asintomatico è stato scoperto anche da noi. È in corso un’indagine sui possibili deficit di efficacia dei vaccini, ma stiamo parlando di pochissimi casi sospetti su migliaia di dosi erogate».
Non era possibile prevedere le varianti visto che si sapeva che i virus mutano?
«Rispetto alla prima ondata oggi abbiamo oggi una potenza diagnostica più efficace. Poi abbiamo capito quali farmaci usare e quali no e infine sono arrivati i vaccini. Anticipare le varianti non è così facile. Certo si potevano chiudere prima i confini, ma c’è anche chi viaggia e non te lo dice. Serve la collaborazione di tutti».
Per bloccare le varianti oggi si può fare di più?
«Le uniche armi sono i tamponi, l’isolamento e la vaccinazione».
Le mascherine sono efficaci contro le varianti?
«Le Ffp2 sono efficaci e garantiscono una protezione in più. L’importante è che chi fa viaggi all’estero lo dichiari all’Ats, al suo medico o al medico aziendale».
Un consiglio?
«Non abbassare la guardia, anche se comprendo che ormai in molti di noi si è insinuata la stanchezza pandemica. C’è tra gli operatori sanitari, tra i giovani e tra la popolazione in generale. Ma è il momento di resistere e usare tutti i sistemi di protezione di cui disponiamo. E occhio ai sintomi, anche ai più leggeri».
Mantova rischia di diventare un caso come Brescia?
«È possibile, la curva dei contagi è in crescita». —
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