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Esuberi e piano industriale: i fili scoperti nella svolta per il salvataggio Corneliani

I sindacati avvertono: con il taglio di un lavoratore su tre la prima volta dello Stato imprenditore rischia il corto circuito

Monica Viviani
3 minuti di lettura

MANTOVA. Da una parte i comunicati stampa della politica rimbalzati sui media nazionali che già parlavano di salvataggio della Corneliani e di tutti i suoi 500 posti di lavoro. Dall’altra la narrazione di cosa è accaduto per davvero attorno a quel tavolo di martedì 23 marzo al ministero dello Sviluppo Economico ribadita ieri (24 marzo) al presidio da sindacati e sindaco: la Corneliani non è ancora salva, nessun accordo è stato firmato, ma c’è l’annuncio di 150 esuberi all’interno di un piano industriale, non presentato al tavolo, su cui si baserebbe l’offerta di acquisto di ramo d’azienda con un concordato in continuità indiretta attraverso una Newco a partecipazione mista Investcorp-Mise (rispettivamente con il 51 e il 49%) che può contare su un tesoretto di 17 milioni. Centocinquanta posti di lavoro da tagliare che corrispondono al 32 per cento delle attuali 490 maestranze di Corneliani in Italia, vale a dire un lavoratore su tre.

Nel sollievo portato dalla svolta di martedì che ha messo Corneliani sui binari di un quanto mai possibile salvataggio, al presidio resta la preoccupazione per quei fili scoperti della prima volta dello Stato imprenditore che aleggiano sui prossimi ventidue giorni. Quelli che mancano alla scadenza concordataria e che saranno di trattativa al tavolo ministeriale su gestione degli esuberi con scivoli pensionistici il più ampi possibile nel tempo, ricambi generazionali, nuove assunzioni, salvaguardia delle competenze come ribadito anche ieri ai cancelli dai segretari generali di Filctem Cgil, Michele Orezzi, Femca Cisl,Gianni Ardemagni e Uiltec Uil, Giovanni Pelizzoni. E anche dal sindaco Mattia Palazzi già in pressing sulla proprietà perché «se la norma dice che il Mise può restare azionista di Corneliani per cinque anni, allora cinque anni è il tempo minimo in cui si deve gestire questo percorso di riorganizzazione alla quale serve tempo per accompagnare le persone».

I SINDACATI: IL PIANO INDUSTRIALE VA CONDIVISO CON I LAVORATORI

Insomma la svolta c’è, «ed è quella che ci porta verso il concordato in continuità indiretto, verso la dimensione per cui stiamo lottando dalla scorsa estate, ma ora la trattativa va riaperta, nei tavoli che si terranno al Mise da qui al 15 aprile, su esuberi e piano industriale» ha ribadito Orezzi ricordando che «non c’è alcun accordo sindacale e se ci sarà, sarà fatto sul tavolo del Mise con entrambi i futuri azionisti (Stato e Investcorp) al tavolo perché il futuro della Corneliani che verrà è una responsabilità collettiva»; che «non c’è ancora un piano industriale condiviso per la Corneliani che verrà» e che «siamo l’unica azienda in Italia dove è stato sbloccato il fondo salva-imprese con lo Stato che diventa azionista al 49%». D’altronde quel fondo con i 10 milioni del Mise per Corneliani è nato proprio “per la salvaguardia dei livelli occupazionali”. «Significa – ha concluso Orezzi – che i lavoratori devono essere coinvolti sul progetto visto che quei dieci milioni sono stati conquistati dalla loro lotta di mesi per salvare l’occupazione non per delocalizzare altro lavoro».

Martedì «sono state create le condizioni per il rilancio dell’impresa e il salvataggio occupazionale – ha quindi fatto eco Ardemagni – evitando liquidazione e spezzettamenti, ma ora c’è bisogno di alimentare la trattativa, ora va approfondito il piano industriale e la gestione degli esuberi deve portare a soluzioni che non lascino nessuno per strada. E il Mise, in quanto azionista, deve essere garante della bontà dell’operazione».

Quei 150 esuberi annunciati «non possono essere una riduzione del personale in orizzontale sui reparti – ha infine chiarito Pelizzoni – perché, in un’acquisizione di ramo d’azienda, o rinunci a qualche reparto o questa cosa non è possibile. Dobbiamo creare le condizioni per accompagnare le persone alla pensione o a uscite volontarie incentivate».



PALAZZI: MINIMO 5 ANNI PER LA RIORGANIZZAZIONE


La crisi non è ancora superata «ma oggi c’è una nuova e importante opportunità – ha ribadito Palazzi davanti alle lavoratrici – questa svolta non è banale ed è una vostra conquista, ora però manca l’ultimo miglio che non è privo di ostacoli. Io tornerò a fare tutte le pressioni necessarie perché l’obiettivo della riorganizzazione deve essere quello di far tornare a crescere questa azienda e serve tempo per accompagnare processi che riguardano la vita delle persone». In base al decreto del fondo salva-imprese il Mise attraverso Invitalia entrerebbe nella compagine societaria con Investcorp per un periodo massimo di cinque anni «quindi cinque anni – ha aggiunto – è il tempo minimo per gestire un percorso che serva all’azienda e rispetti le necessità di ognuno di voi».

LA TRATTATIVA AL MISE

La trattativa che partirà già settimana prossima a Roma come assicurato al tavolo dal ministro Giancarlo Giorgetti avrà quindi come primo punto quel piano industriale che Investcorp ha detto di avere già pronto, ma di cui per ora si sa solo della previsione di 150 esuberi e della rinuncia alla produzione in Slovacchia così come la ridefinizione della rete retail. —
 

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