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Dal quartiere da sogno all’ipotesi del parco al lago Paiolo: vent’anni di battaglie a Mantova

Il piano Nuovo ospedale nasce nel 2006 nell’area dove c’era il quarto lago. L’opposizione degli ambientalisti fino al fallimento della società Pitentino

Sandro Mortari
4 minuti di lettura


MANTOVA. Doveva far nascere il nuovo quartiere residenziale di Mantova, inizialmente con 300 tra case e villette nuove (poi ridotte di numero sull’onda delle polemiche che quella colata di cemento suscitò subito), negozi e uffici. Soprattutto, doveva fornire importanti servizi, compreso un parcheggio sotterraneo da 400 posti auto, al vicino ospedale Poma, appena costruito.

Mantova: in volo sull'ex lago Paiolo, il futuro parco visto dal drone

Era il piano attuativo chiamato Nuovo ospedale. Correva l’anno 2006 e la società Pitentino, costituita dalla Arturo Bottoli spa di Mantova e dalla Laterizi Brioni di Gonzaga per sviluppare quel piano urbanistico, nasceva tra l’entusiasmo generale e la prospettiva di proseguire nella crescita del settore edilizio in un’ottica di servizio al nosocomio. Il piano si estendeva su quasi 100mila ettari tra via Donati, via Nenni e di fronte al nuovo Poma, in una zona verde che una volta era il quarto lago di Mantova, il Paiolo, poi interrato.

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Nel 2005 Bottoli aveva comprato 52.100 metri quadrati di terreno all’asta dal Comune e altri 44mila metri, confinanti, da un privato. Di quella landa antica erano rimaste la folta vegetazione e il canale Paiolo, un rigagnolo ridotto a scarico fognario. Ebbene, nel progetto era previsto un simulacro di quel canale che avrebbe dovuto riproporre la memoria di quello che nell’area c’era prima, l’acqua appunto, elemento distintivo di Mantova. La Pitentino si era affidata ad un archistar di grido, l’austriaco Boris Podrecca, che aveva fatto avere la sua idea da sottoporre al Comune e ai vari enti per l’approvazione.


L’idea dell’archistar. Quel piano, nell’intenzione del professionista, avrebbe dovuto dar vita ad un nuovo quartiere che sarebbe stato la cerniera tra la città proiettata verso il lago e la natura, rappresentata dalle campagne del vicino Trincerone, che si congiungeva con il verde dell’ex lago Paiolo. Non solo. Doveva ospitare una serie di servizi che avrebbero dovuto dare slancio anche all’ospedale: una casa di riposo, un albergo, uno studentato, oltre a direzionale e commerciale.

Un’idea lontana, dunque, da quella di una speculazione edilizia. Per quella zona aveva immaginato come soluzioni innovative, oltre alla ricostruzione del canale anche un boulevard ciclopedonale che attraversava il nuovo quartiere. Il progetto comincia il suo iter a fine 2006 quando il piano viene presentato in pubblico. Segue un 2007 di aggiustamenti, di tagli alle altezze degli edifici per non superare quella del Poma, fino al 2008, in maggio, quando l’allora giunta guidata da Fiorenza Brioni dà l’ok per l’approdo in consiglio comunale.

Servirà il doppio passaggio in aula, prima per l’adozione e poi per l’approvazione definitiva che arriva nel 2009 (dopo che a settembre 2008 c’era stata l’adozione) e subito si capisce che ottenere il via libera non sarà una passeggiata. L’opinione pubblica comincia, infatti, ad accorgersi di quel polmone verde alle porte della città e si interroga sul suo futuro.

I dubbi degli ambientalisti. Si fa sentire la voce del comitato Salviamo il Paiolo che ritiene quella una zona di alto pregio naturalistico che meriterebbe la tutela da parte del Comune e non una colata di cemento come quella che, secondo gli ambientalisti, si prospetta (a vuoto sono andate le rassicurazioni della Pitentino che avrebbe realizzato anche un nuovo bosco). Silvia Cardarello diventa la battagliera coordinatrice del Comitato che propone di trasformare quell’area in un parco naturalistico vista la presenza di specie vegetali rare.

Il comitato organizza anche una petizione popolare capace di raccogliere ben 10mila firme di cittadini che chiedono di tutelare quell’area. Il sentimento popolare raggiunge anche le istituzioni. La Provincia, nel 2010, in vista della conferenza di servizi con tutti gli enti decide di imporre alla Pitentino severe prescrizioni a tutela del verde, non accontentandosi delle modifiche che la società aveva già introdotto. Nel novembre 2011 si conclude la valutazione di impatto ambientale col semaforo verde della Regione al piano, con una prescrizione: il nuovo bosco non va piantato nell’area a destra del Paiolo perché c’è il cariceto da tutelare.

il comitato si ricompatta. L’ok della Regione divide il comitato: mentre la maggioranza ritiene il risultato soddisfacente, qualcuno parla di «duro colpo inferto alla città». Poi, però, il comitato si ricompatta e dichiara guerra ancora al piano. Nel frattempo la Pitentino si prepara a bandire la gara d’appalto per le opere di urbanizzazione. Che parte a fine 2011. Si cerca un’impresa che per 8 milioni di euro (la Pitentino ne aveva già spesi 10 per acquistare tutta l’area nel 2006) le realizzi, in otto anni, su 108.935 metri quadrati: 331mila a residenziale, 10.861 a commerciale, 17.935 a terziario e 13mila a verde.

Partono i lavori. Nel 2012 i lavori partono ma si limitano ad un inizio di disboscamento; infatti, si fermano subito tanto che nel luglio 2013 sono ancora bloccati. A mancare era ancora la convenzione tra la Pitentino, il Comune e l’azienda ospedaliera per la costruzione e la gestione del parcheggio. Nel frattempo, la crisi economica cominciava a mordere soprattutto sul fronte edilizio. Nel 2014 altri problemi, oltre alle polemiche degli ambientalisti che non cedono. Nell’area del Paiolo l’Arpa riscontra un inquinamento da mercurio, arsenico e idrocarburi. Intanto si passa dalla giunta Sodano a quella Palazzi e nel marzo 2016 la Pitentino manifesta i primi dubbi sull’opportunità di continuare con il progetto, ma ancora si dice fiduciosa.

Il fallimento. In settembre arriva la mazzata definitiva. La Pitentino, travolta dalla crisi economica, viene dichiarata fallita dal tribunale di Mantova. Gli ambientalisti esultano, certi che sia stata messa la pietra tombale sul progetto, ma non è così. Nell’agosto 2017 l’area viene messa all’asta dal curatore fallimentare e con essa il progetto attuativo che scadrà nel 2019 (con buone possibilità di essere prorogato, come sarà, di tre anni fino al 2022). Chi se l’aggiudicherà potrà costruire quello che era stato previsto. All’asta, alla fine, va un’area di 96.224 metri quadrati al prezzo di 3 milioni 840mila euro.

Colpo di scena. Ripartono le polemiche degli ambientalisti con ripetute richieste al Comune di acquistare quell’area in cui il gruppo naturalistico mantovano nel 2020 aveva ritrovato due specie considerate estinte: la rana di Lataste e la testuggine palustre europea. La prima asta va deserta e si riaccendono le speranze di salvare l’ex Paiolo, rinfocolate dal fatto che seguono la stessa sorte le successive cinque aste. Quando ancora si sta pensando di bandire la settima, il cui prezzo potrebbe scendere sotto i 900mila euro dell’ultima asta, arriva il colpo di scena: Comune e Parco del Mincio decidono di allearsi per acquistare quell’oasi naturalistica e trasformarla in un grande bosco attrezzato. A finanziare in parte l’operazione sarà la Regione.
 

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