Che male fanno l’odio e l’ignoranza
Enrico Grazioli
MANTOVA. Una grande poetessa come Szymborska dice che l’odio non è cieco, tutt’altro: «Ha la vista acuta del cecchino/e guarda risoluto al futuro/ lui solo...» Chissà. L’odio forse si’, ma gli odiatori probabilmente no: sono inchiodati al presente, alla loro visione irosa e distorta del qui e ora, come non ci fosse domani.
Di definiti così, haters, ne sono stati denunciati 17 in questi giorni dalla polizia di Mantova. Gente che nel pieno mood odierno si attaccava (e tanta altra si attacca ancora) ai post della Gazzetta che sui social segnalano i nostri articoli per sfogare malessere, risentimento, ignoranza. Insultando con un accanimento e una violenza (perché di violenza sistematica si tratta) oltre ogni limite persone e istituzioni. Denigrate per lo svolgere le loro funzioni come per l’esprimere un’opinione.
Ignoranza brutale soprattutto delle regole: è questo è più grave dell’odio, nel momento stesso in cui è la manifestazione di un rancore portato all’estremo (per istinto o per una pur discutibile causa originaria) di lega più bassa rispetto a quello che consideriamo l’odio capace di muovere guerre o persecuzioni.
Si stupiscono, una volta accusati, che la brutalità delle loro parole pubbliche sia un reato. Non sanno. E la colpa non è dei social in sé, né di chi (come noi) lascia aperta pur con molti controlli una porta alla discussione, al confronto. Il problema sta nella convinzione dell’impunità, nello scambiare la libertà (qui di espressione, in altri casi di agire indipendentemente dalle regole) con il permesso di ferire, offendere e infine limitare quella degli altri.
Consegnare queste persone, ma soprattutto questo modo di convivere con noi, a una forma di giustizia è una battaglia di civiltà: una forma di sicurezza importante come l’arresto di un delinquente, se realizzata. Per questo siamo semplicemente e civilmente grati alla Questura di Mantova. E volevamo dirlo.
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